Sangiuliano, tra politica e Tv: la possibile candidatura dell’ex ministro in Campania apre un nuovo caso in Rai

Da ministro a corrispondente Rai e ora possibile capolista di FdI in Campania: il caso Sangiuliano e lo scontro sulle “porte girevoli”

Sangiuliano, tra politica e Tv: la possibile candidatura dell’ex ministro in Campania apre un nuovo caso in Rai

Gennaro Sangiuliano è tornato al centro della scena politica e mediatica. Dopo le dimissioni da ministro della Cultura nel settembre 2024, all’indomani del cosiddetto “caso Boccia”, e il successivo rientro in Rai come corrispondente da Parigi, il suo nome compare ora come possibile capolista di Fratelli d’Italia alle prossime regionali in Campania. Una parabola che unisce giornalismo, politica e servizio pubblico in un intreccio sempre più difficile da separare.

Da direttore del Tg2 a ministro, poi di nuovo giornalista del servizio pubblico, Sangiuliano è stato al centro di una delle più rapide rotazioni di ruoli della politica recente. L’Usigrai parla apertamente di “porte girevoli”, chiedendo che «chi sceglie la politica lasci la Rai o prenda un’aspettativa formale». L’interessato, interpellato dal Corriere della Sera, si è detto «lusingato» dall’ipotesi e ha ammesso di «stare riflettendo». Nessuna smentita.

Il fronte sindacale e la replica della destra

La polemica è esplosa in pieno clima elettorale. L’Usigrai ha diffuso una nota severa: «La Rai non è un tram su cui si sale e si scende a piacimento. Se Sangiuliano vuole candidarsi, chiarisca la sua posizione prima del deposito delle liste». Le parole hanno trovato eco nelle opposizioni, che parlano di “strumentalizzazione del servizio pubblico” e ricordano come il ritorno a Parigi fosse già stato accompagnato dalle polemiche per i suoi editoriali pubblicati su quotidiani dell’editore e parlamentare leghista Antonio Angelucci.

Dalla maggioranza è arrivata una difesa compatta. Fratelli d’Italia definisce la polemica «un tentativo di censura», richiamando il Media Freedom Act europeo e sostenendo che la libertà d’opinione di un giornalista non possa essere condizionata da un eventuale futuro politico. Ma il nodo resta: la candidatura di un corrispondente della Rai rischia di aprire un precedente, in un’azienda che già fatica a rivendicare la propria indipendenza editoriale.

La Campania come trampolino politico

Nel frattempo, il centrodestra ha confermato Edmondo Cirielli come candidato presidente in Campania. Dentro questo schema, la figura di Sangiuliano serve a dare spessore nazionale a una competizione che la destra vuole trasformare in test politico per il governo Meloni. Ex direttore del Tg2 e volto noto nei talk, Sangiuliano porterebbe un pacchetto di consensi urbani e il profilo di “intellettuale di governo”, con focus su cultura, turismo e valorizzazione dei beni archeologici, i dossier che da ministro aveva usato per costruire la propria immagine di efficienza amministrativa.

Sui social, la sua comunicazione si è già spostata verso temi territoriali: Napoli, il patrimonio culturale campano, le infrastrutture turistiche. L’idea è quella di presentarsi come candidato “tecnico” prestato alla politica, capace di legare il governo Meloni al rilancio della regione. Un posizionamento che lo stesso Sangiuliano coltiva con cura, mentre la Rai continua a essere travolta dalle accuse di lottizzazione.

Il peso del passato e la partita aperta

Sul piano giudiziario, il caso Boccia — da cui nacquero le dimissioni ministeriali — sembra per ora giocare a suo favore. La Procura ha chiesto il rinvio a giudizio della ex collaboratrice, con l’ex ministro costituito parte civile. Il procedimento, tuttavia, mantiene un’ombra sul percorso politico del giornalista, diventato per la destra simbolo della “cultura che produce consenso”.

In viale Mazzini, invece, cresce l’imbarazzo. Se la candidatura verrà confermata, Sangiuliano dovrà scegliere tra la poltrona di corrispondente e quella di candidato. Una scelta che vale più della singola vicenda personale: mette a nudo il rapporto sempre più ambiguo tra il servizio pubblico e la politica di governo, in un momento in cui la Rai appare più strumento di potere che bene comune.