M5S-Pd, un matrimonio a ostacoli: dall’Ucraina alle spese militari, tutte le divisioni che rendono difficile la convivenza

M5S-Pd, una difficile convivenza. Dal Mes al Tav, dall'Ucraina alle spese militari, tutte le divisioni che separano i partiti.

M5S-Pd, un matrimonio a ostacoli: dall’Ucraina alle spese militari, tutte le divisioni che rendono difficile la convivenza

La scintilla è arrivata da Chiara Appendino, vicepresidente del Movimento 5 Stelle, che nell’assemblea congiunta di deputati e senatori ha ventilato l’ipotesi di dimissioni. «C’è un problema politico», ha detto, alludendo a un’alleanza col Partito democratico che per molti nel Movimento resta più un vincolo che una prospettiva. Conte ha minimizzato, ma la crepa è ormai visibile: le frizioni tra Pd e M5S attraversano quasi tutti i fronti strategici, Europa, difesa, grandi opere, rapporti internazionali.

Il fronte estero: armi e riarmo

Sulla guerra in Ucraina la distanza è strutturale. I 5 Stelle restano contrari all’invio di nuove armi e chiedono una «soluzione diplomatica», posizione ribadita anche nelle ultime manifestazioni di piazza. Il Pd mantiene una linea atlantista, sostenendo gli aiuti a Kyiv ma criticando l’aumento incontrollato delle spese militari. La frattura si è vista anche in Europa, dove dieci eurodeputati dem hanno votato a favore del pacchetto “ReArm Europe” contro l’indicazione di astensione arrivata da Elly Schlein. Un segnale che dentro il Pd, più che un dibattito, si consuma una doppia anima: quella di governo e quella di opposizione.

Il tema del riarmo è diventato il simbolo di questa ambiguità. Conte ha definito «una follia» l’ipotesi di portare la spesa militare al 5% del Pil, rilanciata in ambito Nato. Schlein e Misiani si sono detti contrari a quel traguardo, ma favorevoli al mantenimento dell’obiettivo del 2%. In Aula, però, le mozioni sul riarmo hanno diviso anche i dem: Guerini, Madia e Quartapelle non hanno seguito la linea della segretaria.

Sul Medio Oriente, invece, Pd e M5S hanno trovato una convergenza rara. Entrambi hanno firmato la mozione per il riconoscimento dello Stato di Palestina e per il cessate il fuoco immediato. È uno dei pochi terreni di accordo in un quadro che, sul resto della politica estera, resta disseminato di contraddizioni.

Il fronte europeo: il Mes come linea di confine

La spaccatura sul Meccanismo europeo di stabilità è una delle più nette. Il Pd ne chiede la ratifica da mesi, in nome della «credibilità europea dell’Italia». Il Movimento lo considera invece un «errore strategico» che limiterebbe la sovranità economica del Paese. È un muro identitario, che Conte usa per segnare la distanza da una cultura di governo ritenuta troppo accomodante verso Bruxelles.

Anche sull’industria della difesa europea i due partiti viaggiano su binari opposti: i 5 Stelle rifiutano ogni logica di rafforzamento bellico comune, mentre il Pd, pur diviso, tende a vedere nei programmi Ue un’occasione industriale. L’episodio del voto europeo sul “ReArm Europe” è diventato così un caso politico, perché mostra che non solo l’alleanza con il Movimento, ma lo stesso Pd è lacerato tra linea ufficiale e prassi di voto.

Tav, termovalorizzatore e il terreno locale delle crepe

Le differenze più tangibili emergono però a livello territoriale. La Tav Torino-Lione continua a separare i due mondi: per i 5 Stelle resta un simbolo di “grandi opere inutili”, per il Pd una priorità infrastrutturale europea. A Torino le tensioni sono quotidiane e spiegano in parte la durezza dello sfogo di Appendino, che su quel dossier ha sempre incarnato la linea più ortodossa del Movimento.

A Roma, lo scontro è sul termovalorizzatore di Santa Palomba. Gualtieri lo considera essenziale per chiudere il ciclo dei rifiuti, i 5 Stelle lo bollano come «un ritorno al passato». Lì la contraddizione è doppia: da una parte Conte difende la coerenza ambientalista del Movimento, dall’altra Schlein si ritrova a giustificare le scelte di un sindaco del suo stesso partito che interpreta la transizione ecologica in modo considerato “più pragmatico”.

Dove possono camminare insieme

Nonostante le differenze, alcuni terreni di incontro restano. Sul salario minimo le due forze hanno scritto e difeso un testo comune, e la difesa dello stato sociale le unisce contro la politica economica del governo. Sull’opposizione all’aumento della spesa militare al 5% si muovono in sintonia, seppure per ragioni diverse: Conte per pacifismo politico, Schlein per sostenibilità di bilancio.

Ma la difficoltà non è solo di programma: è di fiducia. I 5 Stelle temono che il Pd torni alla vocazione centrista alla prima occasione utile, il Pd teme che il Movimento usi l’alleanza come strumento tattico. Lo sfogo di Appendino, più che un incidente, è il sintomo di un malessere che rischia di allargarsi.

Finora l’unità dell’opposizione ha retto per convenienza, non per convinzione. E ogni volta che la cronaca internazionale costringe a scegliere — tra Europa e neutralismo, tra realpolitik e pacifismo — la coalizione virtuale tra Schlein e Conte si ritrova divisa. Non basta un voto comune su Gaza a mascherare che, su quasi tutto il resto, Pd e M5S restano due pianeti diversi.