Le opposizioni vanno all’attacco della Manovra varata ieri dal Consiglio dei ministri. Per il leader del M5S, Giuseppe Conte, è come “fronteggiare uno tsunami con un secchiello”. “Modesta e rinunciataria”, per il senatore dem Antonio Misiani. E se scorriamo l’importo delle leggi di Bilancio dal 2020 ad oggi, comprese le ultime tre precedenti a questa dello stesso governo Meloni, non possiamo che confermare i dubbi sull’entità di codesta mini-Manovra.
La mini-Manovra da 18,7 miliardi: mai importo così basso negli ultimi cinque anni
Negli ultimi cinque anni mai per una legge di Bilancio lo stanziamento era stato inferiore ai 28 miliardi. E si era arrivati anche a quota 35. Questa si ferma a poco più di 18 miliardi di euro, 18,7 per la precisione. Eppure il menu dei capitoli da finanziare sono tanti. “Una Manovra seria che si concentra sulle stesse grandi priorità delle precedenti: famiglia e natalità, riduzione delle tasse, sostegno alle imprese e sanità”, ha detto la premier Giorgia Meloni in conferenza stampa con i suoi vice e il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, dopo l’approvazione della legge.
La scelta dell’austerità
La verità è che di fronte a un’economia ferma e alla trappola della povertà, minacciati come siamo dalle conseguenze dei dazi americani e dall’aumento delle disuguaglianze, il governo ha scelto la strada dell’austerità, quella dei conti in ordine, ai danni della crescita. La Manovra avrà impatto nullo su un Pil già inchiodato ora allo zero virgola. E questo anche per obbedire ai diktat Usa ed europei sulla necessità di armarci fino ai denti.
Armati fino ai denti
“Con questa legge di bilancio l’Italia riesce a rispettare la sua traiettoria di riduzione del deficit”, ha spiegato la premier. “Questo – ha aggiunto – ci consentirà, oltre ad accedere al finanziamento del Safe, che sono prestiti a lunghissimo termine, anche a valutare la possibilità per il 2026 di attivare l’escape clause prevista dalla Commissione europea”. Ovvero quella che consente agli Stati di superare i tassi massimi di crescita della spesa netta per le spese in Difesa.
Dal Safe, vale a dire 15 miliardi per le spese militari, all’escape clause ci sembrano questi tutti escamotage per camuffare l’entità dello shopping militare a cui si prepara il governo, a fronte della modestia degli interventi previsti per lavoratori, famiglie, imprese e sanità.
Coperture ballerine
Merita un discorso a parte, poi, quello sulle coperture. Una delle voci più corpose riguarda il contributo chiesto a banche e assicurazioni pari a 11 miliardi nel triennio, tra i 4 e i 5 quelli previsti solo per il prossimo anno. Ebbene, l’esborso che gli istituti di credito e le assicurazioni dovranno sopportare sarà un mix di misure, in parte volontarie in parte strutturali: una tantum e volontarie nel caso in cui dovessero sbloccare le riserve di capitale accumulate per la legge del 2023 sugli extraprofitti; strutturali tramite l’aggravio previsto con un’addizionale Irap e pari a circa due punti percentuali.
Ma a parte che l’aggravio sull’Irap smentisce Forza Italia, che aveva detto no a tasse sulle banche, c’è il discorso da fare sull’altra voce una tantum.
Lo ammette lo stesso Giorgetti
Nel 2023 il governo fece marcia indietro sulla tassa sugli extraprofitti, prevedendo per le banche la possibilità di schivarla accantonando il capitale. Ebbene ora per l’esecutivo, gli istituti di credito potrebbero liberare quel capitale “a un’aliquota interessante” (il 27,5% contro il 40% di due anni fa). Ma si tratta appunto di una decisione affidata a loro, volontaria e discrezionale.
Tanto che Giorgetti ammette che “il rischio che non arrivino le risorse c’è sempre”. Pare che i miliardi di gettito che possano ballare siano compresi in una forbice che va da 1,5 a 3 miliardi. Dunque se le banche decidessero di non liberare il capitale, per Giorgetti e soci si aprirebbe un problema di copertura serio.
L’altra grande voce sulle entrate riguarda la rimodulazione di alcune poste del Pnrr. Qui il problema non sarebbe il gettito ballerino ma l’opportunità di utilizzare fondi europei a copertura di una legge nazionale. Giorgetti si giustifica dicendo che sono comunque “soldi a prestito”. La sostanza non cambia e nemmeno l’opportunità.
Per il resto la Manovrina conferma la rottamazione, la riduzione dell’aliquota Irpef dal 35 al 33%, e tradisce un po’ di promesse. Da quella di tagliare le tasse (vedi le banche), nonostante una pressione fiscale alle stelle, a quella di sterilizzare l’aumento dell’età pensionabile. Ma per Meloni è seria.