Come nei peggiori incubi, le bombe sono tornate a cadere sulla Striscia di Gaza, dove una settimana di fragile tregua è messa a repentaglio da una nuova ondata di violenza. Nella notte di ieri, Israele ha lanciato diversi raid aerei contro Rafah e Beit Lahia, in risposta a quella che l’esercito israeliano (Idf) ha definito una “violazione del cessate il fuoco” da parte di Hamas. Infatti secondo l’esercito israeliano, alcuni miliziani avrebbero lanciato un attacco usando un missile anticarro e dopo avrebbero anche aperto il fuoco contro le truppe di Tel Aviv nella zona sud della Striscia. Tanto è bastato per scatenare la furiosa reazione delle truppe di Benjamin Netanyahu con i bombardamenti che hanno provocato almeno 33 morti, secondo la protezione civile palestinese, a cui si aggiungono anche i decessi di due soldati israeliani.
Nonostante la forte e crescente tensione, il cessate il fuoco resta formalmente in vigore. Lo ha confermato il presidente americano Donald Trump, che parlando ai giornalisti sull’Air Force One ha ribadito la volontà di “gestire la situazione con fermezza ma in modo appropriato”. Il presidente ha lasciato intendere che gli attacchi potrebbero essere opera di “ribelli interni” a Hamas e non di una decisione della leadership – che infatti davanti alle accuse di Israele aveva risposto di “non saperne nulla” -, invitando entrambe le parti a mantenere la calma.
Sul terreno, però, la situazione resta delicata. Israele, sempre in risposta ai presunti attacchi, aveva chiuso tutti i valichi e sospeso l’ingresso degli aiuti umanitari “fino a nuovo avviso”. E fortunatamente questo è arrivato questa mattina dopo un forsennato pressing della Casa Bianca sul governo Netanyahu che alla fine ha convinto Tel Aviv a ritornare sui propri passi. Hamas, da parte sua, continua a negare ogni responsabilità e si dice intenzionato a rispettare il cessate il fuoco. Ma le tensioni sulla restituzione dei corpi degli ostaggi rapiti nel 2023 e la chiusura del valico di Rafah rischiano di compromettere la già fragile tregua.
Fragile tregua a Gaza, domani al via le trattative per la seconda fase del piano di pace
In questo clima incerto, gli Stati Uniti cercano di mantenere vivo l’accordo di pace voluto da Trump. Gli inviati speciali del presidente, Steve Witkoff e Jared Kushner, sono arrivati in Israele per incontrare il primo ministro Netanyahu e i vertici del suo governo. Un summit che anticipa quello del vicepresidente J.D. Vance, che arriverà in giornata nella regione per avviare ufficialmente i negoziati sulla seconda fase del piano di pace.
Secondo le indiscrezioni riportate da Haaretz, i colloqui si concentreranno sull’istituzione di una forza internazionale di stabilizzazione a Gaza, sul ritiro graduale delle truppe israeliane e sul disarmo di Hamas. Gli Stati Uniti intendono inoltre presentare al Consiglio di sicurezza dell’Onu una bozza di risoluzione per formalizzare il dispiegamento della forza internazionale, con il sostegno di Francia, Regno Unito e diversi Paesi arabi.
Parlando con i giornalisti alla base congiunta di Andrews e prima di partire per Tel Aviv, il vicepresidente Vance ha definito la tregua “complicata da mantenere” ma comunque “la migliore possibilità per una pace sostenibile”. “Ci saranno alti e bassi”, ha ammesso, “ma monitoreremo costantemente la situazione”.
L’amministrazione americana, secondo quanto riferito da fonti diplomatiche, in queste ore avrebbe anche invitato Israele a una risposta “proporzionata e moderata” in caso di ulteriori violazioni del cessate il fuoco da parte di Hamas al fine di evitare di far saltare la fragile tregua. In tutto questo Trump, pur riconoscendo la difficoltà del momento, si è detto “cautamente ottimista” e determinato a evitare un ritorno a una guerra su vasta scala che avrebbe esiti imprevedibili.