L'Editoriale

Il mantra delle destre sulle tasse

Il governo accusa la sinistra di tassare gli italiani, ma con Meloni la pressione fiscale è salita ai livelli più alti dal 2021.

Il mantra delle destre sulle tasse

La pressione fiscale in Italia è salita. Nel 2023 era al 41,2%. Nel 2024 è arrivata al 42,5%, certifica l’Istat. Nel 2025 toccherà il 42,8%, prevede la Banca d’Italia nelle audizioni sulla Nadef. Non sono opinioni, né propaganda dell’opposizione: sono i numeri dei documenti pubblici firmati proprio dal governo che dice di “tagliare le tasse”.

La sinistra delle tasse, il centrodestra della memoria corta

Il 9 ottobre 2024 Giorgia Meloni ha spiegato che «noi le tasse le abbassiamo, quelle le alzava la sinistra». Salvini ripete che la sinistra «sogna patrimoniali» e Fratelli d’Italia archivia come “stangata rossa” ogni proposta di progressività fiscale. È la liturgia del centrodestra: agitare il feticcio della sinistra tassatrice come un monito morale. Nel frattempo i numeri crescono sotto il loro governo, ma evidentemente la pressione fiscale non fa parte della realtà: è tradimento dello spirito nazionale solo quando cala sulle statistiche dell’opposizione.

Per mesi la maggioranza ha equiparato ogni proposta su rendite finanziarie, grandi successioni o patrimonio immobiliare a un colpo di stato fiscale. La tassa sugli extraprofitti bancari? «Vogliono punire il risparmio degli italiani», ha accusato FdI prima di presentare una versione più leggera dello stesso meccanismo. Ogni riferimento alla progressività dell’imposizione è stato spinto nel secchio delle ideologie. E mentre l’opposizione veniva raccontata come ossessionata dal colpire il ceto medio, lo stesso governo lasciava scadere il taglio sulle accise dei carburanti, incassando di più in silenzio.

Gli sconti annunciati, i conti presentati

Il governo rivendica il taglio del cuneo, la revisione dell’Irpef, il futuro abbassamento dell’aliquota dal 35% al 33%. Ma gli sconti selettivi non cancellano l’aritmetica. L’Istat spiega che nel 2024 le entrate fiscali e contributive sono cresciute del 5,8%, mentre il Pil nominale è salito del 2,7%. L’inflazione ha spinto l’IVA, il “fiscal drag” ha trascinato redditi verso scaglioni più elevati e la fine dello sconto Draghi sulle accise ha garantito un incasso maggiore. Nessuno ha ufficialmente “alzato le tasse”, è bastato smettere di abbassarle e lasciarle lavorare in silenzio.

Nel 2025, secondo i documenti programmatici dello stesso governo, la pressione fiscale salirà ancora. Nel frattempo gli spot istituzionali parlano di “più soldi in busta paga”, ma nessuno spot racconta che l’Istat ha già certificato un carico più pesante sull’intero sistema. Davanti alle tabelle, lo slogan “meno tasse per tutti” vale quanto un cartellone elettorale dopo lo scrutinio.

Per capire la scala basta la cronologia ufficiale: il 2021 si chiude attorno al 43,4 per cento, il 2022 scende al 41,7, il 2023 al 41,2, il 2024 risale al 42,5; per il 2025 il quadro programmatico indica 42,8. Nel mezzo, scaglioni Irpef non indicizzati, gettito IVA spinto dai prezzi, Ires sostenuta da utili robusti sul 2023, contributi legati a occupazione e salari in crescita. È l’effetto combinato che rovescia lo slogan nel suo contrario: meno tasse annunciate, più pressione registrata.

I numeri restano. Gli slogan scadono.

Ogni proposta dell’opposizione su extraprofitti, rendite o grandi patrimoni viene bollata come “tassa ideologica”. Nel frattempo lo stesso governo valuta strette su affitti brevi, detrazioni e altri segmenti fiscali senza mai tradurle nel linguaggio dell’ideologia, ma in quello dell’“equità”. Anche qui la logica è semplice: le tasse sono di sinistra solo quando non sono le tue.

Poi arrivano i dati dell’Istat. E quei numeri sono una sentenza: con questa maggioranza, la pressione fiscale è aumentata. Nessuna patrimoniale rossa, nessun governo socialcomunista. Solo il realismo di una propaganda che parla di sforbiciate mentre la forbice incassa. Il resto è rumore. I numeri no.