Era stato annunciato nel marzo 2024, quando Francesca Albanese – relatrice speciale delle Nazioni Unite – aveva parlato di «genocidio plausibile». Ora, nel documento A/80/492 del 20 ottobre 2025, trasmesso all’Assemblea generale in versione “advance unedited”, quel quadro viene formalizzato: il genocidio a Gaza è «un crimine collettivo» e ha potuto dispiegarsi grazie alla «complicità sostenuta di Stati terzi influenti». La responsabilità non riguarda solo gli autori materiali, ma include chi ha fornito armi, legittimità diplomatica e copertura politica. Il report elenca quattro forme di sostegno – diplomatico, militare, economico e umanitario distorto – che hanno consentito a Israele di perpetuare violazioni del diritto internazionale «nonostante gli avvertimenti della comunità giuridica e gli ordini della Corte internazionale di giustizia».
La svolta giuridica è chiara: dal 26 gennaio 2024, quando la Corte dell’Aia riconosceva l’«esistenza di un rischio serio di genocidio», gli Stati erano obbligati a prevenirlo. Chi ha continuato a fornire armamenti o sostegno politico, secondo Albanese, non può invocare ignoranza. Il report parla di «conoscenza effettiva o costruttiva» del genocidio e dunque di possibile corresponsabilità.
Complicità certificata
Nel dossier si legge che senza «partecipazione diretta, assistenza materiale e protezione diplomatica» da parte di Stati terzi, il genocidio non avrebbe potuto proseguire per due anni. Albanese elenca l’uso sistematico del veto statunitense al Consiglio di Sicurezza, la fornitura di armi da parte di Washington, Berlino e Roma, gli accordi energetici che hanno sostenuto l’economia di guerra israeliana, l’abbandono di richieste di cessate il fuoco permanente in favore di «pause umanitarie» utili solo a guadagnare tempo. Il riferimento all’Italia si inserisce in questo contesto: la continuità delle forniture militari autorizzate dal governo Meloni dopo gennaio 2024, insieme alle dichiarazioni di «pieno sostegno al diritto di Israele a difendersi», integra esattamente il paradigma di assistenza proibita.
Secondo il report, la responsabilità internazionale scatta quando uno Stato «contribuisce materialmente a un crimine sapendo che ciò agevola la commissione del genocidio». E le forme di sostegno non si limitano alle armi: anche il mantenimento di relazioni economiche senza misure restrittive e la protezione diplomatica nelle sedi multilaterali configurano complicità.
Le obbligazioni mancate
Il documento ricorda che il diritto internazionale impone non solo di non partecipare, ma di adottare «tutte le misure disponibili» per fermare il genocidio. La Corte internazionale aveva già stabilito che gli Stati non devono fornire aiuti che possano «sostenere l’operazione genocidaria». Albanese richiama inoltre il dovere di imporre un embargo sulle armi, sospendere trattati che mantengano la situazione illegale e attivare la giurisdizione penale universale. Nulla di tutto ciò è accaduto in Italia, dove la linea governativa ha continuato a giustificare l’azione israeliana come necessità di sicurezza, contestando come «offensivo e infondato» ogni richiamo al genocidio.
La relatrice osserva che «la distinzione tra territorio israeliano e territori occupati è divenuta giuridicamente insostenibile», motivo per cui i rapporti complessivi con Israele ricadono direttamente nel quadro di complicità. Una tesi che smonta la retorica di chi sostiene di aiutare «solo la difesa di uno Stato democratico».
Il governo nella zona rossa della storia
In questo schema, il report A/80/492 colloca l’Italia tra coloro che, pur a conoscenza dell’esistenza di un genocidio in corso attestato dalla Corte e dalle principali agenzie Onu, hanno continuato a fornire assistenza «sotto forma di supporto militare, copertura politica, partecipazione a narrative delegittimanti le vittime». Ogni riferimento a chi ha definito «vergognose» le accuse di genocidio non è esplicito, ma l’inquadramento giuridico è inequivocabile: l’articolo 16 sugli atti internazionalmente illeciti considera corresponsabile uno Stato che contribuisce, anche indirettamente, a un crimine sapendo che la condotta concorre al suo compimento.
La conclusione è priva di ambiguità: se il genocidio è un crimine collettivo, ogni governo che ha proseguito nel sostegno a Israele dopo gli ordini della Corte ne è parte. Le conseguenze non sono solo morali: la relatrice parla di «futuri obblighi di giustizia e punizione». La storia è già scritta nei documenti dell’Onu. Il resto lo scriveranno i tribunali.