Il numero di donne incarcerate nel mondo sta correndo più veloce di qualunque previsione. Gli esperti parlano apertamente di una «crisi globale»: secondo le serie statistiche dell’Unodc e della World Female Imprisonment List dell’Icpr, le detenute crescono a un ritmo quasi triplo rispetto agli uomini. Se la curva resterà invariata, si supererà la soglia del milione. Dal 2000 a oggi la popolazione detenuta femminile è aumentata del 57%, contro il +22% di quella maschile, con un impatto enorme su violenze sessuali, salute, lavoro obbligato e condizioni materiali.
Un’emergenza che non riguarda soltanto paesi lontani. L’Italia ne è parte, benché continui a rappresentarsi come un’eccezione. I numeri del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap) raccontano invece un’altra storia: le donne dietro le sbarre aumentano lentamente ma costantemente, mentre il sistema resta inadatto a rispondere ai loro bisogni specifici.
Il caso italiano dietro le statistiche
Secondo gli ultimi dati Dap del 2025, le donne costituiscono circa il 4,4% della popolazione detenuta. Un dato basso solo in apparenza. Le sezioni femminili sono spesso ricavate dentro istituti maschili, con spazi ridotti, servizi sanitari limitati e accesso disomogeneo ai percorsi trattamentali.
Le misure alternative mostrano il divario più evidente: mentre gli uomini registrano un lieve aumento nei percorsi fuori dal carcere, per le donne la crescita è quasi nulla. Le madri detenute sono ancora una quarantina, con una decina di bambini in Icam o sezioni ordinarie. La legge 62/2011, che dovrebbe evitare il carcere alle madri con figli piccoli, resta applicata in modo irregolare. I tribunali di sorveglianza segnalano difficoltà strutturali: mancano comunità, mancano case famiglia protette, mancano percorsi dedicati.
La salute mentale è l’altra grande zona d’ombra. Le relazioni annuali del Garante nazionale delle persone private della libertà mostrano indicatori di autolesionismo sensibilmente più alti per le donne rispetto agli uomini. Nei reparti di osservazione psichiatrica non esistono sezioni femminili autonome: un’assenza che produce isolamento, regressione, cure frammentate. «Le donne continuano a essere trattate come eccezioni dentro un modello pensato per gli uomini», ha scritto il Garante nella relazione 2024.
Una deriva globale che parla anche a noi
I dati raccolti da Un Women, Unodc e dai monitoraggi regionali del Council of Europe – Space I mostrano un quadro sovrapponibile: violenza sessuale, assenza di cure ginecologiche adeguate, lavoro sottopagato o non retribuito, infrastrutture insufficienti, lunghe detenzioni cautelari. In molti paesi le donne finiscono in carcere per reati minori legati alla sopravvivenza economica: microfurti, piccoli traffici, violazioni amministrative.
In Italia la prevalenza dei reati minori è altrettanto marcata. I dati di ingresso Dap mostrano una predominanza di furti, piccole quantità di stupefacenti, violazioni legate all’immigrazione. Si tratta di fattispecie che potrebbero essere affrontate con misure non detentive, e invece la custodia cautelare continua a essere favorita.
Da anni gli esperti italiani chiedono un rovesciamento di prospettiva: più comunità, più misure di protezione, più percorsi esterni, soprattutto per le donne con figli. Non sono opinioni ma raccomandazioni contenute nelle relazioni Dap, nelle ispezioni del Garante e nei pareri parlamentari.
La «crisi globale» non è un fenomeno esterno. È un avvertimento che riguarda anche noi: una crescita delle detenute che non parla di sicurezza, ma di fragilità punite. E che produce effetti che travalicano il carcere: bambini senza madri, famiglie spezzate, territori più vulnerabili.
Il mondo corre verso un milione di donne dietro le sbarre. L’Italia non potrà fingere ancora a lungo di viaggiare su un binario diverso. Il punto è capire quando sceglierà di guardare davvero questa realtà.