Cpr in Albania, esposto di ActionAid alla Corte dei Conti sui costi dei centri

ActionAid denuncia costi gonfiati e appalti opachi: l’operazione Albania finisce sotto esame della Corte dei Conti

Cpr in Albania, esposto di ActionAid alla Corte dei Conti sui costi dei centri

Oggi ActionAid chiede ufficialmente alla Corte dei Conti di verificare se l’operazione Albania abbia prodotto un danno erariale. L’esposto ricostruisce due anni di spesa pubblica che si allarga a ogni passaggio: 39,2 milioni stanziati con la legge di ratifica del protocollo, poi improvvisamente aumentati a 65 milioni con il cosiddetto “Decreto Pnrr 2”, quando la competenza passa dalla Giustizia e dal Viminale alla Difesa. È il primo scarto politico: la detenzione amministrativa dei migranti diventa un capitolo militare. 

Secondo i dati ottenuti tramite accesso civico, la Difesa ha bandito 82 milioni di gare, firmato contratti per oltre 74 milioniquasi tutti affidamenti diretti – ed erogato più di 61 milioni. Un flusso di denaro che corre più veloce dell’attivazione dei centri: a marzo 2025 erano in funzione solo il 39% dei posti dichiarati. 

Nello stesso tempo ActionAid segnala all’Anac presunte irregolarità nell’affidamento dell’appalto da 133 milioni, che sarebbe stato assegnato senza verificare nemmeno la “rilevanza internazionale”, condizione che avrebbe imposto una procedura più aperta e competitiva. «Soldi pubblici sottratti alla salute, alla giustizia e al welfare», denuncia l’avvocato Antonello Ciervo, definendo «ancora più grave» la distorsione nell’uso delle risorse. 

Centri semivuoti, costi che esplodono

Il dossier fotografa un sistema che assorbe fondi senza produrre risultati. A Gjader, in due mesi di attività semideserta, un singolo posto costa 1.500 euro, lo stesso importo che una struttura come Modica spende per un intero anno di gestione ordinaria. Nel frattempo, il 20% dei posti nei Cpr italiani resta vuoto, mentre l’Albania moltiplica i passaggi e le spese. 

A marzo 2025 parte la fase più controversa: trasferimenti in Albania di persone già trattenute in Italia. Il risultato è un itinerario circolare – Italia, Albania, di nuovo Italia – che non cambia il destino amministrativo dei migranti, ma aumenta i costi. A fine 2024 il prezzo giornaliero per detenuto a Gjader è quasi triplo rispetto ai Cpr italiani.

Le spese accessorie raccontano la stessa dinamica. Oltre 2,6 milioni per la nave Libra – manutenzione, forniture, poi la cessione a Tirana. 630mila euro del Viminale per trasferimenti e tecnologie di controllo. E il capitolo più impressionante: 105.616 euro al giorno per vitto e alloggio delle forze dell’ordine impegnate in Albania tra ottobre e dicembre 2024, quasi 18 volte il costo giornaliero di Macomer e 28 volte quello di Palazzo San Gervasio. 

Il Ministero della Giustizia ha firmato contratti per quasi 2 milioni ed effettuato pagamenti per 1,2 milioni per il centro di Gjader, mai utilizzato e consegnato solo al 70%. Il Ministero della Salute ha autorizzato spese per 4,8 milioni, ma gli uffici dell’Usmaf Albania risultano deserti dal marzo 2025. La commissione vulnerabilità si riunisce solo da remoto, e solo davanti a referti già conclusivi: una tutela sanitaria ridotta a procedura formale. 

Rimpatri irrilevanti, costi imponenti: ora tocca ai giudici

Il nodo finale riguarda l’efficacia. L’esperimento siciliano che ha preceduto l’Albania aveva già mostrato tutti i limiti: zero convalide e zero rimpatri nel 2023, cinque rimpatri su 166 nel 2024 tra Modica e Porto Empedocle. Lo Stato trattiene, trasferisce, riporta indietro, spende. Il risultato non si sposta. 

Per l’esperto di migrazioni di ActionAid Fabrizio Coresi, l’ostinazione istituzionale nel mantenere vivo questo modello, «inumano, inefficace e giuridicamente inconsistente», ha generato una perdita che «non può essere archiviata come mero errore tecnico». L’esposto ne chiede la verifica contabile: un passaggio che sposta la discussione dall’arena politica alla responsabilità amministrativa. 

Oggi, con il dossier sul tavolo dei magistrati contabili e l’Anac chiamata a valutare l’appalto chiave, l’operazione Albania entra nel punto più delicato della sua storia. La promessa di efficienza si misura finalmente con le carte. E con il peso del denaro pubblico che, in questi due anni, è evaporato molto più velocemente dei risultati.