Ieri mattina in un’intervista si risente la voce di Alessandro Onorato, assessore ai Grandi Eventi di Roma, mentre ricorda che la rete dei sindaci «può valere il 10%». Una frase da campagna permanente, confezionata per apparire tecnica, e invece carica di politica. Onorato parla di astensione, di radicamento, di liste civiche capaci di superare i partiti tradizionali. Poi arriva al punto: «Se ci saranno le primarie, ci sarà un candidato che rappresenterà questa rete».
Qui la cronaca si trasforma in segnale. La premiership del centrosinistra entra ufficialmente nella disponibilità di un soggetto diverso dal Pd. Un passaggio lessicale che nessun dirigente dem può ignorare. Non è un affondo contro Schlein, è qualcosa di più sottile: l’annuncio pubblico che la partita della leadership non è affatto chiusa, e che il Pd non è più il solo attore legittimato a indicare la direzione.
Onorato veste il ruolo di messaggero. Ogni sua parola è calibrata per non apparire ostile e produrre lo stesso effetto dell’ostilità. Il linguaggio del civismo consente di spostare il baricentro politico senza doverne pagare il prezzo.
La rete dei sindaci come nuovo baricentro del centrosinistra
Il progetto nasce settimane fa all’Hotel Parco dei Principi, luogo scelto apposta per le atmosfere da operazione politica. In sala c’erano Gaetano Manfredi, Silvia Salis, Roberto Gualtieri, Stefano Bonaccini, Giuseppe Conte, Goffredo Bettini. L’assenza di Schlein non fu incidente, fu cornice: l’alternativa si costruisce anche scegliendo chi non invitare.
Quel giorno si è capito che la rete dei sindaci era l’inizio di un’architettura politica. Il civismo diventava infrastruttura di un campo largo diverso, non più guidato dal partito più grande ma da chi governa i territori. Una coalizione verticale, più amministrativa che ideologica, più istituzionale che identitaria. Una coalizione che parla al voto mobile, al voto intermittente, a quel pezzo di Paese che alle politiche non entra nei gazebo del Pd ma alle comunali sì.
Il dopo-Salis a Genova ha accelerato tutto. In quella elezione i promotori del progetto hanno visto la conferma della propria tesi: un profilo civico e istituzionale può conquistare un’area moderata che il Pd nazionale non sfiora. I numeri di Manfredi, il ruolo dell’Anci, la capacità di Decaro di trasformare consenso locale in capitale politico rafforzano la percezione che la leadership del centrosinistra sia contendibile da figure che non hanno bisogno del partito per esistere. La premessa è chiara e silenziosa: la forza non arriva dal Nazareno, arriva dai territori.
Un Pd attraversato da correnti che cercano un altro equilibrio
Dentro il Pd questo movimento trova terreno fertile. L’area riformista ha rotto gli indugi da mesi. Guerini, Gori, Picierno, Delrio e altri dirigenti hanno smesso di fingere una sintonia che non c’è. Il tentativo fallito di modificare lo statuto per blindare Schlein come candidata premier ha rivelato un dato essenziale: la segretaria non controlla più il recinto che dovrebbe proteggerla.
Il “correntone” Franceschini-Orlando-Speranza offre un appoggio che non ha nulla di gratuito. Sostiene la segreteria chiedendo in cambio la gestione dei dossier più sensibili e l’ultima parola sulle liste. Una maggioranza che aiuta, ma delimita. Una maggioranza che non permette slanci.
Nel frattempo i sindaci avanzano. Manfredi controlla la rete dei Comuni, Gualtieri si muove come garante istituzionale della capitale, Salis incarna la narrazione del successo civico al Nord. E Onorato oggi traduce tutto in una formula: la rete può valere il 10%. Ciò che non dice è ciò che tutti deducono: quel 10% può diventare decisivo solo se usato per spostare l’asse della leadership.
Le regionali del 2025 hanno aggravato la sproporzione. La coalizione vince grazie ai candidati territoriali, non per effetto della linea nazionale. La fotografia mette in ombra la segreteria e illumina un gruppo di amministratori che ora rivendica voce nella scelta del candidato a Palazzo Chigi.
L’obiettivo: spostare la premiership fuori dal perimetro del Pd
La strategia si concentra sulle primarie di coalizione. Il fronte civico conosce bene la dinamica: un voto d’opinione aperto privilegia la figura che parla al centro del campo, non chi guida un partito. È il meccanismo che due anni fa aveva premiato Schlein contro gli iscritti. Ora il dispositivo si capovolge.
L’asse civico-riformista-M5S può orientare il voto verso un profilo amministrativo e istituzionale in grado di incarnare il racconto della concretezza. Manfredi, Salis, eventualmente Decaro: nomi che non polarizzano e che, proprio per questo, raccolgono. La logica è semplice: se la coalizione deve sfidare Meloni, serve un candidato capace di non spaventare nessun pezzo dell’elettorato.
Il messaggio vero dell’intervista di Onorato è qui. La frase sul candidato “da Bolzano a Caltanissetta” è il punto di svolta. È l’annuncio che il progetto entrerà nella partita. È la scelta di portare allo scoperto ciò che finora si muoveva sul fondale.
Il centrosinistra, da oggi, ha una competizione interna per la leadership. E quella competizione non nasce in un congresso del Pd: nasce in una rete civica che ha costruito il proprio spazio fuori dal partito e ora si prepara a usarlo contro la sua guida formale.
Un finale ancora da scrivere
La segreteria può provare a contenere l’avanzata o a rinegoziare gli equilibri, ma il terreno si sta muovendo. La rete dei sindaci non è più un fenomeno amministrativo. È il veicolo con cui una parte del centrosinistra sta costruendo la sua alternativa.
Le parole di Onorato lo certificano. La leadership del centrosinistra non è più un recinto del Pd. E la contesa per il 2027 comincia oggi.