Immaginate il funerale di un imprenditore coinvolto in indagini di mafia con fuochi d’artificio illegalmente sparati durante il corteo funebre accompagnato da poliziotti e carabinieri e in più il lancio di palloncini bianchi. Se la scena accadesse in un qualunque paese del sud si leverebbe lo sdegno e si chiederebbero indagini senza sconti. Se accade nel dormiente lodigiano la notizia viene data di sguincio, rimane sepolta nella timida cronaca locale e non merita una mezza parola dalla politica che ha appena dismesso gli abiti per le commemorazioni di Falcone e Borsellino.
A Massalengo, nel lodigiano, corteo, inchino e fuochi d’artificio per Stefano Catanzaro. L’uomo era finito in indagini di mafia
Lo scorso lunedì, 24 luglio, si i sono svolti a Massalengo (nei pressi di Lodi) i funerali di Stefano Catanzaro, imprenditore 61enne stroncato da un malore nella sua Sicilia. “Ad attirare l’attenzione – scrive Il Giorno – dei residenti sono stati i tanti fuochi d’artificio sparati nel corso del corteo funebre, oltre alle decine di palloncini bianchi liberati alla fine della funzione religiosa”. Ma chi era Stefano Catanzaro? Nell’ambito dell’inchiesta Esperanza, in cui era coinvolta anche la figlia di Vittorio Mangano, Cinzia, si legge nell’ordinanza del Gip che “i fratelli Catanzaro Stefano ed Ignazio giungono al Nord provenienti da Palermo tra la fine degli anni ’70 e i primi anni ’80 in stato “dichiarato” di povertà, tanto da usufruire dei sussidi comunali.
Inizialmente avviano un panificio, poi un bar nella centrale via Roma di Lodi ed infine, dopo aver ceduto tutte le attività commerciali, si dedicano in via esclusiva alle costruzioni edili, per poi tornare ad occuparsi di attività commerciali, mantenendo attivi entrambi i settori. Nel1985, Catanzaro Stefano, in concorso con altre persone di origine palermitana viene arrestato per rapina nei confronti di un gioielliere di Lodi. Qualche anno prima era stato denunciato per un furto in un cantiere”.
Poi, come accade spesso, si buttano nell’edilizia e gli affari vanno a gonfie vele tanto che lì a Massalengo un intero quartiere è stato costruito da Stefano Catanzaro. Tra le carte di quell’inchiesta (da cui Catanzaro esce assolto) c’è anche la telefonata dell’allora direttore della filiale del Credito Cooperativo di Offanengo: la filiale ha appena ricevuto una visita degli ispettori bancari che chiedono spiegazioni riguardo operazioni sospette eseguite per conto e a favore di Stefano Catanzaro.
L’imprenditore non si scompone più di tanto, quando il direttore della Bcc gli racconta l’accaduto e risponde: “Dottore, noi ne abbiamo fatte tante di cose fuorilegge”. “Solo che – replica il direttore – prima non erano mai state scoperte…”. Accanto all’impresa edile Stefano Catanzaro investe anche nella ristorazione. Bar e panifici sono le sue attività preferite, ancora oggi attive a Lodi e provincia. Manca, è vero, la passione per il rispetto delle regole. Così accade che se qualcuno prova a mettersi sulla sua strada ne paga le conseguenze.
Il sindaco di Massalengo Severini si è messo di traverso alla potente famiglia. Si è ritrovato vittima di aggressione e minacce
Il sindaco di Massalengo, Severino Serafini (Lega), si è ritrovato vittima di un’aggressione. Stefano Catanzaro era stato condannato in primo grado a due mesi che gli sarebbero costati l’ingresso in carcere per le pene già accumulate. Lo stesso sindaco (ai tempi dell’inchiesta della Dda consigliere comunale) era stato minacciato dalla famiglia per avere deposto durante le indagini. Quando due anni fa la famiglia Catanzaro abbandona in un parcheggio pubblico un’auto malconcia per mesi il sindaco Serafini lo scrisse chiaro e tondo sul suo profilo Facebook: “Certe famiglie non si possono permettere di non rispettare le regole”.
La risposta furono le minacce, l’aggressione e una vigilanza predisposta dalla Prefettura per garantirne la sicurezza. È normale? No, per niente. Così come non è normale che un funerale diventi una celebrazione, quasi un inchino nel cuore della comunità. Dal Comune fanno sapere di essere stati avvisati del decesso del concittadino ingombrante la scorsa settimana. In programma c’era una semplice tumulazione. Venerdì hanno ricevuto comunicazione della cerimonia funebre. Nessuno pensava al corteo. A Massalengo, come in molti comuni d’Italia, i cortei funebri sono rimasti sospesi dai tempi della pandemia.
Dopo la celebrazione in chiesa autonomamente con le proprie auto ci si sposta al cimitero. Anche in questo la famiglia Catanzaro è riuscita a essere un’eccezione. Così alla Polizia locale e alle forze dell’ordine presenti non è restato che scortare la processione condita con fuochi d’artificio e palloncini. “L’Amministrazione Comunale esprime sconcerto per circostanze che non devono essere mai tollerate, per questo è stato chiesto alle forze dell’ordine di monitorare attentamente la situazione e di avere una relazione dettagliata”, ha scritto il sindaco. La Prefettura si è affrettata a specificare che i “fuochi” fossero di libera vendita e quindi non sottoposti ad autorizzazione preventiva. Ma lo sconcerto sta nell’esibizione di forza concessa ai Catanzaro nella placida provincia lodigiana, uno dei tanti territori del nord in cui l’antimafia sono i campi antimafia in Sicilia mentre gli amici dei mafiosi stanno a cento passi.
La politica in prima fila per le commemorazioni ancora una volta è muta. Le cosiddette associazioni antimafia mute. I quotidiani locali si fermano all’aggettivo “imprenditore”. “Non ho capito: il defunto, definito imprenditore la cui scomparsa la comunità locale piange, è scortato da ingente presenza di forze dell’ordine. Come si spiega?”, chiede un lettore commentando un articolo. Alla domanda, dalle parti di Lodi, non risponde nessuno. E pensare che qui sta anche un ex ministro.