Abbattimento delle tasse

di Lapo Mazzei

«Il governo italiano rispetta tutti gli impegni che ha con l’Europa. Ma il più grande non è solo un impegno economico ma quello di mantenere forte quella radice e quella tradizione che risale agli Stati Uniti d’Europa di Spinelli. Il primo impegno che vogliamo rispettare è che l’Europa sia l’Europa dei cittadini, dei popoli, delle speranze e non solo dei vincoli». E sì, bei tempi quando il tema forte era la rottamazione e il modo per mandare a casa i vecchi del partito, da Veltroni a D’Alema, passando per la Finocchiaro e la Bindi. Tutto era così maledettamente semplice da sembrare vero. Ma ora che la scena è cambiata, e con essa il copione da recitare, il presidente del Consiglio Matteo Renzi non ha solo cambiato registro e timbro di voce, ma è arrivato addirittura a copiare i suoi predecessori. Non tanto nei tempi e nei modi di stare in scena, per quello esiste già un metodo Renzi, quanto per l’agenda da seguire. «L’Italia vuole tenere i conti in ordine non perché lo chiedono i vostri capi di Stato o di governo ma perché lo chiede la nostra dignità verso i nostri figli » ha detto ieri il premier intervenendo alla conferenza internazionale “‘Il valore dell’Europa” svoltasi alla Camera. Al di là della mozione degli affetti, diventata un must nei momenti del bisogno, ciò che colpisce è il richiamo al bisogno si dignità.

Sulle orme di Monti

E allora veniamo al punto, ovvero l’agenda di Palazzo Chigi. Per vincere la scommessa sul taglio delle tasse, su cui il premier ha detto di «giocarsi tutto», Renzi deve assolutamente affrontare, e provare a superare, lo scoglio dell’Unione Europea. L’azzardo del premier, confermato anche dal ministro Pier Carlo Padoan in conferenza stampa, è quello di utilizzare quello 0,4% di margine di spesa tra il 3% fissato dall’Europa e il 2,6 stimato dall’Europa per il nostro Paese quest’anno. Oltre 6 miliardi, nelle intenzioni del premier a cui dovrebbero aggiungersi i 3 miliardi messi in conto da Carlo Cottarelli per la spending review e i 2,4 miliardi dalla minore spesa per interessi sul debito dovuto all’abbassamento dello spread. Ma il percorso per arrivarci, a questi 6 miliardi, è tutt’altro che privo di ostacoli.

E così gli appuntamenti di lunedì, con i faccia a faccia del premier con Francois Hollande e Angela Merkel, possono già rivelarsi molto importanti. Anche perché, con la Commissione in scadenza, cambia la geografia dei poteri. «È evidente che una situazione di transizione accentua l’importanza del dialogo diretto con gli Stati» spiega il sottosegretario all’Economia Pier Paolo Baretta. Con Francia e Germania, c’è da “strappare” il semaforo verde allo scostamento sul disavanzo programmato, e sarà fondamentale in questo senso la capacità di persuasione del presidente del Consiglio. Ogni allontanamento dagli obiettivi di bilancio fissati, con la firma del Fiscal compact (recepito in parte nell’articolo 81 della Costituzione) deve passare dal via libera del Parlamento e, soprattutto, della Commissione. Non si tratta più soltanto di restare entro il contestato tetto del 3%, ma di dover giustificare, come in questo caso, significative variazioni di spesa rispetto agli obiettivi di medio termine e all’orizzonte del pareggio di bilancio che misure di questo tipo allontano sempre di più. Fonti europee spiegano che il margine «tecnicamente» c’è, ma nel caso italiano, quello cioè di un Paese da poco uscito dalla procedura di deficit eccessivo, il rischio è di rinviare se non appesantire l’aggiustamento strutturale dello 0,5% di Pil richiesto dall’Europa per ridurre il debito. «Non c’è soltanto il margine economico, questi sei miliardi che peraltro il premier ha fatto capire di non volere utilizzare interamente, ma mi sembra che in questa situazione ci sia anche un margine politico per discuterne con l’Europa» spiega Baretta. «Il pacchetto di misure annunciato da Renzi rispetta i parametri chiesti dall’Europa e ha peraltro ha già incontrato in queste ore, nel caso dei provvedimenti sul lavoro, l’approvazione della Commissione. Mi pare che ci sia un quadro che consente una discussione, non dico tranquilla, ma almeno di reciproca condivisione con l’Europa». Ottimismo insomma, ripensando a quanto strappato, esattamente un anno fa, dall’allora premier uscente Mario Monti. Ecco, Renzi si ritrova a dover seguire le orme di Mario Monti e Enrico Letta, se non addirittura quelle di Silvio Berlusconi. Nel bene o nel male dovrà salire le stesse scale, sedere agli stessi tavoli prendere gli stessi aerei. Magari proverà ad incantare tutti con slide e cartelline tematiche, come un Brunetta qualsiasi. Ma L’Europa non è Roma e Hollande e la Merkel non sono Totò e Peppino, ma coloro che hanno messo all’angolo Berlusconi, Monti e Letta.

E se andasse male? Chissà. Ieri sera, intervenendo a Porta a Porta, il premier ha comunque escluso il ricorso a una patrimoniale. Ci sarà da fidarsi?