Adesso le Poste ballano sul Titanic. Ecco perché Sarmi vorrebbe scappare via

di Stefano Sansonetti

Un doppio fronte che minaccia di stringere Poste Italiane in una morsa. E rischia di creare un problema di bilancio di non poco conto nel gruppo al momento guidato da Massimo Sarmi. Il primo siluro è destinato ad arrivare da Mr Forbici, Carlo Cottarelli, ovvero il commissario alla revisione della spesa pubblica che tra i capitoli da tagliare ha messo il contratto di servizio con cui lo Stato, grosso modo, trasferisce a Poste 350 milioni l’anno per lo svolgimento del servizio universale. Un altro duro colpo è in arrivo da Bruxelles, dove la proposta di direttiva sull’Iva standard, elaborata dalla Commissione europea, potrebbe mettere nel mirino il regime di esenzione Iva di cui godono alcuni servizi forniti dal colosso pubblico. La partita è complicata, perché sul tema dei trasferimenti pubblici lambisce tutta una serie di crediti che Poste venta nei confronti del Tesoro e della presidenza del consiglio, gran parte dei quali relativi proprio a precedenti finanziamenti del servizio universale ancora non corrisposti: parliamo della cifra monstre di 1,18 miliardi di euro. E se Cottarelli, in accordo con il ministro dell’economia, Fabrizio Saccomanni, dovesse decidere che questo flusso di risorse va progressivamente tagliato, è chiaro che il bilancio della società non potrebbe non risentirne. E chissà che non ci sia anche questa preoccupazione dietro alla possibilità che Sarmi lasci l’azienda (destinazione Telecom o meno).

Il primo fronte
Che il governo abbia intenzione di azionare la scure sul contratto di servizio è confermato dal piano Cottarelli, nella parte in cui prevede la costituzione di un gruppo di lavoro tematico sul ministero dello sviluppo economico. Il quale, è scritto nel piano, tra le altre cose dovrà affrontare l’argomento “Revisione trasferimenti alle imprese: contratto di servizio Poste”. Insomma, la società è direttamente citata. Ma quanti soldi transitano dallo Stato al bilancio della società guidata da Sarmi? Per trovare una risposta aggiornata si può andare a vedere nell’ultima semestrale 2013 del gruppo, dove si parla di 171 milioni per i primi sei mesi dell’anno e di 350 milioni a valere su tutto il 2012. Nel bilancio relativo a quest’ultimo anno, poi, si chiarisce che l’importo per il 2011 è di 357 milioni. Il documento contabile precisa che si tratta di compensi erogate a Poste, in pratica “il parziale rimborso a carico del ministero dell’economia dell’onere per lo svolgimento degli obblighi di Servizio universale”. Insomma, in media parliamo di circa 350 milioni l’anno che il Tesoro versa a Poste. Il fatto è, però, che già da tempo lo Stato mostra una certa ritrosia nel pagare tali compensi. Al 30 giugno 2013, scrive la semestrale, i crediti maturati dalla capogruppo nei confronti del ministero e di palazzo Chigi ammantano a circa 1,18 miliardi. Tra questi, prosegue il documento, ci sono 616 milioni dovuti ai compensi del Servizio universale per i primi sei mesi di quest’anno e per tutto il 2012. Vi rientrano anche altri 50 milioni per l’esercizio 2011, che però sono “privi di copertura nel bilancio dello Stato”. E poi ci sono 9 milioni relativi al 2005. Al di fuori di questi, poi, spuntano 251 milioni di crediti “relativi a integrazioni tariffarie al settore editoriale”. Insomma, un mucchio di soldi. Tra l’altro i 350 milioni attesi da Poste, come dire, sono sub iudice, perché basati su un calcolo dell’azienda in assenza della cornice di riferimento. E infatti il nuovo contratto di programma tra la società e il ministero dello sviluppo non è ancora stato definitivamente approvato. La preoccupazione di Poste, sul tema, è ancora confermata dalla semestrale 2013. “Talune attività”, vi si legge, “sono assoggettate a norme di regolamentazione che possono impattare sui diversi business in cui opera il gruppo (per esempio il Servizio universale)”. Per questo “ne consegue che la variazione di tali norme e l’evoluzione dei procedimenti avviati dall’Autorità di settore possono incidere sulla gestione del periodo”. Per carità, Poste è un gruppo che ha 24 miliardi di fatturato (soprattutto grazie ai servizi finanziari e assicurativi). Ma l’utile netto, 1 miliardo nel 2012, potrebbe in futuro risentire delle decisioni di Cottarelli e Saccomanni.

Il versante europeo
Il 15 novembre scorso l’Ecofin ha discusso della proposta di direttiva della Commissione sull’Iva standard valida in tutta la Ue. Una misura, in pratica, che dovrebbe ridurre gli oneri amministrativi delle aziende. Ebbene, in quell’occasione si è affrontato l’argomento del regime di esenzione Iva di cui godono alcuni prodotti rientranti nel servizio universale erogato da Poste. Il tutto sulla base di una legge che però rischia di confliggere con la nuova impostazione europea. Lo stesso regime di esenzione, peraltro, già adesso vede Poste opporsi all’Antitrust in alcuni procedimenti innescati da aziende concorrenti.

Il buco previdenziale
Nei giorni scorsi La Notizia (vedi il numero del 19 novembre) ha raccontato quanto stiano costando allo Stato, in termini di trasferimenti all’Inps (e prima all’Ipost), le pensioni dei postini. Squilibri passati che vengono colmati dal Tesoro con un assegno di 990 milioni l’anno. Risulta che l’Ipost avesse portato in dote un tesoretto per far fronte a queste esigenze. Ma forse non sufficiente, visto che via XX Settembre oggi ripiana con un trasferimento che ormai viaggia verso il miliardo di euro.

Riceviamo e pubblichiamo

In riferimento agli articoli “Aiuti di Stato a stretto giro di Posta” e “ La voragine previdenziale Dal tesoro un miliardo l’anno per le pensioni dei postini“ pubblicati sulla Notizia, si precisa che i trasferimenti del Ministero del Tesoro all’Istituto Postelegrafonici (IPost) non sono altro che il rimborso di quanto già anticipato da IPost (e, successivamente alla sua soppressione, dall’Inps), per conto del Ministero del Tesoro a titolo di pensioni e previdenza per gli ex dipendenti di Poste Italiane. Per comprendere ancora meglio la tematica e fare la necessaria chiarezza è opportuno seguire la ricostruzione cronologica relativa alla nascita e all’evoluzione di IPost, l’ente previdenziale del personale postale, e ai diversi giuridici che, nel tempo, hanno portato al passaggio dall’Amministrazione delle Poste e delle Telecomunicazioni all’attuale Poste Italiane S.p.A. Sin dalla sua costituzione, nel 1953 (Dpr n.542/1953), l’IPost (Ente Pubblico non economico sottoposto alla vigilanza del Ministero dello Sviluppo Economico), erogava il trattamento previdenziale ed assistenziale del personale dei piccoli uffici postali, degli Uffici locali, delle ex ricevitorie (ruolo ULA), mentre alla gestione del personale applicato agli Uffici principali (ruolo UP) e al Ministero PT, provvedeva il Ministero del Tesoro. Nel 1994, a seguito della trasformazione delle Poste Italiane in Ente Pubblico Economico, l’IPost diventa l’Ente previdenziale di tutto il personale dipendente di Poste Italiane. In seguito, nel 1997, la Legge finanziaria n. 449/1997, all’articolo 53 ha confermato le competenze istituzionali dell’IPOST quale Ente previdenziale del personale postale, nonostante la trasformazione dell’Ente Pubblico Economico “Poste Italiane” nella Società per azioni “Poste Italiane S.p.A.”. Alla vita dell’IPost mette fine nel 2010 il Decreto Legge n. 78/2010, convertito in legge n. 122/2010, che nel disporre la soppressione dell’ente previdenziale dei postelegrafonici ne ha trasferito le funzioni all’INPS. Tornando ad oggi e alla questione principale, va detto che fino alla data di trasformazione dell’Amministrazione delle Poste e delle telecomunicazioni in Ente Pubblico Economico, il Ministero del Tesoro provvedeva ad erogare una parte molto consistente del trattamento previdenziale del personale dipendente della suddetta Amministrazione. Poi, come ricordato in precedenza, dal 1994 l’IPost si è occupato in via esclusiva del trattamento previdenziale di tutto il personale dipendente di Poste Italiane. In realtà, una parte significativa dei trattamenti di quiescenza erogati dall’IPost fanno riferimento anche al personale proveniente dai ruoli della pubblica amministrazione, al cui trattamento previdenziale provvedeva in precedenza il Ministero del Tesoro. Quindi, molto semplicemente, per compensare la parte del trattamento di quiescenza del suddetto personale che è di competenza del Ministero del Tesoro, quest’ultimo ha provveduto e continua a provvedere ad effettuare versamenti all’ente previdenziale competente alla liquidazione della prestazione in argomento: fino al 2010 all’IPost e, successivamente alla data della sua soppressione (avvenuta nel maggio 2010) all’INPS che ne ha ereditato tutti rapporti attivi e passivi. Tale circostanza, peraltro, è espressamente prevista dall’articolo 6 comma 7 della Legge n. 71/1994 che recita testualmente: “a decorrere dalla predetta data (1° agosto 1994) l’onere relativo al trattamento di quiescenza e di previdenza (del personale dipendente dell’Ente Poste Italiane) sarà ripartito tra il Ministero del Tesoro, l’INPDAP e l’Istituto Postelegrafonici, in misura proporzionale alla durata del servizio prestato presso l’Amministrazione delle Poste e delle Telecomunicazioni e l’Ente Poste Italiane”. Con l’auspicio di aver chiarito e risolto ogni dubbio sull’argomento.

Poste italiane

Risponde l’autore dell’articolo
Stefano Sansonetti

Prendiamo atto della precisazione di Poste, che nulla toglie però a quello che è uno squilibrio previdenziale che il Tesoro copre ogni anno versando un miliardo di euro. Un flusso di risorse la cui sostenibilità è oggetto di approfondita riflessione a via XX Settembre.