Adozioni internazionali impossibili. Colpa del pressing delle Ong. Dopo gli scandali molti Paesi hanno dato una stretta. Risultato: i bimbi restano orfani e gli italiani senza figli

Il meglio diventa spesso nemico del bene. Dopo alcuni scandali, le pressioni delle Ong per frenare le adozioni internazionali hanno contribuito fortemente a spingere troppi Stati a impedire che tanti bambini che vivono situazioni di estremo disagio potessero essere adottati. Con il risultato che vi è ora una doppia disperazione. Quella dei piccoli, che negli angoli più difficili del mondo si trovano costretti a tirare avanti tra enormi difficoltà e senza prospettive per il futuro, e quella di tante famiglie italiane, che vorrebbero un figlio e non riescono ad averlo. Un dramma quello descritto nella relazione sullo stato delle adozioni internazionali presentata alla Camera dal ministro ministro per le pari opportunità e la famiglia Elena Bonetti (nella foto).

MILLE OSTACOLI. La Commissione per le adozioni internazionali, la cosiddetta Cai, opera presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, ed è l’Autorità Centrale in Italia per quanto riguarda le adozioni internazionali rispetto al Segretariato de L’Aja. Una struttura attualmente presieduta dal ministro Bonetti, che ha come vice Laura Laera e che ha ripreso la sua attività solo il 12 settembre 2017, con l’insediamento proprio di Laera, dopo che per 38 mesi non era stata più convocata. La vice presidente si è quindi attivata subito per migliorare e ripristinare i rapporti con i Paesi di provenienza dei minori, attivando anche canali di relazioni internazionali con nuovi Paesi. Sforzi che si stanno scontrando però con troppe difficilta, essendo il settore dell’adozione internazionale in profonda crisi. “Il calo degli ingressi in Italia dei minori adottati all’estero è inesorabile e dura già da diversi anni”, si legge nella relazione depositata a Montecitorio.

TROPPI ERRORI. I motivi del calo delle adozioni sono numerosi. “Bambini piccoli, possibilmente sani, sono quasi scomparsi dal panorama adottivo ma non dai desideri, pure comprensibili, delle coppie”, specifica la ministra Bonetti. Il numero dei bambini destinati dai paesi di origine all’adozione è sempre più ridotto, i paesi stranieri tendono a privilegiare forme di protezione dell’infanzia sul territorio e in tutto questo molto hanno pesato le Ong. “Le pressioni della comunità internazionale e di alcune Ong – viene sottolineato nella relazione hanno spinto, all’esito di alcuni scandali, nella direzione della chiusura dell’adozione internazionale.

Sottostante a tutti questi motivi vi è una cultura che privilegia i legami di sangue rispetto al diritto del bambino ad avere una famiglia anche diversa dalla propria, principio invece che ha ispirato la nostra Legge 184/83”. Famiglie dunque condannate a non veder esaudito il desiderio di un figlio e bimbi lasciati in quello che spesso è un inferno. La stessa ministra sostiene infatti che la conseguenza di questi fattori è che numerosi bambini rimangono in istituto e che all’adozione internazionale vengono destinati sempre più older children o bimbi con patologie anche gravi, riversando sugli Stati di accoglienza gli oneri sanitari e sociali.

“Tutto ciò – dichiara la Bonetti – deve essere oggetto di attenta riflessione al fine di indirizzare eventuali modifiche della normativa sulle adozioni internazionali e le relative politiche”. Per la ministra, nella fase pre-adozione deve essere rafforzata la preparazione delle coppie ad accogliere bambini con special needs. La titolare del Ministero della famiglia non ha dubbi: “L’intero settore deve essere oggetto di una profonda riflessione”.