Affari sospetti della Pivetti in Cina. Sequestrato un milione al socio. I pm sospettano si tratti di riciclaggio di fondi illeciti. Nel fascicolo risultano indagate già sette persone

Da qualche tempo la Cina più che un’opportunità, per Irene Pivetti è diventata un incubo. Continua a complicarsi l’inchiesta giudiziaria con cui la magistratura sta provando a fare luce su una serie di operazioni commerciali ritenute sospette e che punta il dito contro l’ex presidente della Camera e altre sei persone tra cui il presunto socio, ossia l’ex pilota di rally Leonardo Isolani. L’ultima novità è che ieri la Guardia di Finanza, su delega del pubblico ministero Giovanni Tarzia, ha eseguito un sequestro preventivo da 1,2 milioni di euro a carico dell’uomo, della moglie e della figlia. Al centro dell’inchiesta ci sono una serie di complesse operazioni di import-export con alcune società della Cina, in particolare la compravendita di tre Ferrari modello Gran Turismo che sarebbero servite, almeno la tesi della Procura di Milano, per riciclare dei proventi ottenuti tramite un’evasione fiscale.

LA VENDITA SIMULATA. Dalle indagini è emerso che Isolani e la moglie avrebbero “simulato la vendita di tre Ferrari della loro società, operante nel settore dell’organizzazione di eventi sportivi” per “sottrarre alle procedure esecutive da parte dell’Erario conseguenti al mancato pagamento di debiti tributari”. In realtà poi i due avrebbero continuato a possedere le auto e a svolgere la loro attività con l’azienda di eventi sportivi spostandola dall’Italia alle Canarie. Ma c’è di più. Questa simulazione avrebbe avuto come acquirente una società di Hong Kong che, dopo l’acquisto ad un prezzo di poco più di un milione di euro, a sua volta ha rivenduto le autovetture ad un’altra società di Hong Kong.

Una serie di passaggi che vedrebbe la società della Pivetti, la Only Logistics Italia, coinvolta nelle operazioni nel ruolo di intermediario. Una consulenza che non sarebbe stata gratuita perché, questo il sospetto dei pm, all’ex presidente della Camera sarebbe stato garantito un pagamento. È bene specificare che al momento si tratta di una mera ipotesi investigativa ma, stando a quanto trapela dalla Procura, proprio in queste ore sono in corso accertamenti per cercare di capire come stiano davvero le cose. Nel fascicolo, però, c’è dell’altro. Oltre alla vendita delle fuoriserie, infatti, l’ex pilota avrebbe venduto anche altri beni, al fine di svuotare l’azienda, a un’altra società di Hong Kong che per i magistrati sarebbe riferibile proprio alla Pivetti. Società, quest’ultima, che a sua volta avrebbe rivenduto tutto al Gruppo Daohe, del magnate cinese Zhou Xi Jian.

IL CASO MASCHERINE. Ma i guai per l’ex presidente della Camera non finiscono qui. L’ex leghista, infatti, è coinvolta anche in un’altra indagine, anch’essa legata alla Cina. Si tratta di quella relativa alla maxi fornitura di mascherine, nel pieno dell’emergenza covid-19, finita al centro di furibonde polemiche. Un caso su cui hanno aperto fascicoli, in seguito tutti confluiti nell’indagine dei pm di Busto Arsizio, ben quattro Procure e in cui sono stati ipotizzati i reati di frode in commercio e immissione sul mercato di prodotti non conformi ai requisiti essenziali di sicurezza. La vicenda fa riferimento al contratto stipulato tra la Protezione civile e la società amministrata dall’ex presidente della Camera, per la consegna di 10 milioni di mascherine filtranti Ffp2 al costo di 23 milioni di euro. Un contratto finito anche all’attenzione dell’Anticorruzione, che, però, ha disposto l’archiviazione del procedimento di vigilanza.