Affonda la direttiva anti-truffa ecologica. E l’Europa perde la faccia

Bruxelles cede al pressing del Ppe e ritira la direttiva anti-greenwashing: salta la norma che doveva smascherare le bugie ecologiche

Affonda la direttiva anti-truffa ecologica. E l’Europa perde la faccia

Il 20 giugno 2025 la Commissione Europea ha annunciato l’intenzione di ritirare la direttiva sui “green claims”, cioè le dichiarazioni ambientali con cui le aziende millantano sostenibilità. Doveva essere la norma cardine per stanare il greenwashing e rendere verificabili le affermazioni ecologiche. Era a un passo dall’approvazione definitiva. Ma a Bruxelles è bastata una lettera del Partito Popolare Europeo per rovesciare il tavolo e provocare quello che perfino i portavoce della Commissione chiamano oggi un “gran casino”.

L’annuncio – affidato con improvvisazione a un portavoce e non a un atto ufficiale – ha colto di sorpresa Parlamento e Consiglio, pronti al trilogo finale. A detta della Commissione, la norma rischiava di includere “30 milioni di microimprese”, creando oneri eccessivi. Ma la giustificazione non regge: il testo prevedeva già esenzioni, e i negoziati su questi dettagli non erano ancora nemmeno cominciati.

Il cuore della norma

La direttiva sui green claims avrebbe vietato dichiarazioni come “100% green”, “eco” o “a impatto zero” senza solide prove scientifiche. Ogni affermazione ambientale sarebbe stata sottoposta a verifica indipendente prima della pubblicazione. Nessuna autocertificazione, nessun bollino inventato, nessuna neutralità climatica di facciata basata solo sulla compensazione delle emissioni. Era un cambio di paradigma: passare dal marketing all’obbligo di verità, dal far west alla trasparenza.

Secondo uno studio Ue del 2020, il 53% delle affermazioni ecologiche era fuorviante o infondata. Il 40% era privo di qualunque prova. Le aziende virtuose, che investono davvero in sostenibilità, sono penalizzate da chi si limita a comprare crediti di carbonio o a inventare etichette. La direttiva avrebbe creato un mercato equo. Non è passata.

Chi ha vinto davvero

Dietro le quinte, il fronte del ritiro era composto da Ppe, Ecr e Pfi, ma soprattutto da una costellazione di lobby industriali. Gli argomenti erano sempre gli stessi: costi, burocrazia, minaccia alla competitività. La narrazione si è spostata dal diritto dei consumatori alla difesa delle imprese. Ma non di tutte: solo di quelle che hanno da perdere da un sistema regolato.

Non è un caso che tra i più accesi sostenitori del ritiro ci sia Andreas Schwab (Cdu, Ppe), che ha rivendicato la mossa come “iniziativa del gruppo Ppe”. Una forzatura politica che ha aggirato il Parlamento per colpire una direttiva simbolica del Green Deal.

Una crisi di sistema

La reazione dei gruppi Renew, S&D e Verdi è stata durissima. Il relatore Sandro Gozi ha parlato apertamente di “tradimento del mandato europeo” e di “Commissione trasformata in esecutore politico del Ppe e dell’estrema destra”. La presidente dei liberali Valérie Hayer ha denunciato “una crisi istituzionale senza precedenti”. E le conseguenze potrebbero andare ben oltre la direttiva: a rischio c’è la tenuta dell’intera coalizione che sostiene Ursula von der Leyen.

Sullo sfondo, infatti, c’è il vero nodo: la politicizzazione della Commissione. La sua Presidente e il Commissario all’Ambiente appartengono entrambe al Ppe. Ritirare una direttiva per obbedire al proprio partito e non agli equilibri tra istituzioni è una frattura del mandato europeo. Non è semplificazione: è una resa di sovranità istituzionale.

Il vuoto che resta

Il Green Deal perde un altro pezzo. La direttiva Green Claims era complementare a quella sulle pratiche commerciali sleali (Ecgt) e al sistema del Product Environmental Footprint. Senza di lei, l’architettura Ue contro il greenwashing crolla: niente più regole chiare, niente più controlli preventivi, niente più sanzioni. Si torna a un mercato dove chi grida più verde vince. Anche se mente.

E nel frattempo, chi davvero investe in sostenibilità rischia di restare zitto per paura di esporsi: è il “green hushing”, l’effetto contrario alla trasparenza. Così, tra silenzi pilotati e dichiarazioni inventate, la transizione ecologica si trasforma in marketing. E l’Europa perde credibilità proprio mentre il mondo ha più bisogno di regole e verità.