Nelle ultime settimane, le voci su una possibile “promozione europea” per Francesco Lollobrigida si sono fatte sempre più insistenti nei corridoi romani. Si parla di un incarico di prestigio – non meglio definito – legato alla “sovranità alimentare”, concetto identitario per Fratelli d’Italia e cavallo di battaglia di Coldiretti. Ma le ipotesi si scontrano con i fatti: la casella di Commissario europeo per l’Italia è già stata assegnata a Raffaele Fitto, le principali poltrone agricole dell’Ue sono occupate da altri e un “inviato speciale” con reali poteri a Bruxelles semplicemente non esiste, anche se si sussurra di un nuovo inviato “per la sovranità alimentare” fatto su misura per il cognato d’Italia.
La promozione che non c’è
Lollobrigida, figura chiave nel cerchio ristretto di Giorgia Meloni, ex cognato della premier, resta un punto fermo per il governo. Nonostante sia stato protagonista di gaffe clamorose – dal treno fermato all’allarme “sostituzione etnica” – e la sua legge contro la carne coltivata, celebrata come baluardo identitario, abbia già attirato critiche e rischi di infrazione da Bruxelles.
L’idea di una sua uscita verso l’Europa avrebbe potuto risolvere elegantemente un problema d’immagine per Palazzo Chigi. Ma lo scenario è saltato: la promozione non c’è, e Meloni – che ha fatto della stabilità del governo una bandiera – ha escluso ogni ipotesi di rimpasto. Il mantra resta uno solo: fedeltà e continuità.
Nel frattempo, si muove Ettore Prandini. Il presidente di Coldiretti, uomo d’azione, è il nome che i beninformati accostano da tempo al dicastero agricolo. Figura ingombrante e assertiva, Prandini è più di un semplice leader di un’associazione di categoria: è un operatore politico a tutti gli effetti, con canali diretti sia con Palazzo Chigi che con la Commissione europea. Il sodalizio tra Coldiretti e il governo Meloni è saldo e visibile: il nome del ministero è stato modificato su proposta dell’organizzazione, le leggi bandiera coincidono con le sue battaglie e tra le file del ministero operano figure da tempo orbitanti nella galassia Coldiretti.
La poltrona contesa
Ma è attorno a questo stesso ministero che si addensa un altro fronte: quello del futuro politico di Luca Zaia. Il presidente del Veneto, bloccato dalla legge sul terzo mandato e dal no della Corte Costituzionale, si trova senza una destinazione chiara. E tra le opzioni in campo, una poltrona da ministro – proprio all’Agricoltura – sarebbe per lui l’approdo più naturale.
Zaia, già titolare del dicastero in passato, ha un profilo tecnico-amministrativo che piace agli elettori e incute timore agli alleati. Il suo consenso personale supera largamente quello della Lega, il suo stile da “amministratore puro” lo distingue dalla retorica salviniana e dalla macchina di Fratelli d’Italia. Ma è proprio questa forza personale a renderlo scomodo. Alla Lega, che teme un Zaia troppo autonomo, e a FdI, che non vuole cedere un ministero strategico né interrompere con un rimpasto il record di durata del governo.
Il vero tema, quindi, non è dove andrà Lollobrigida, ma chi controllerà il ministero dell’Agricoltura nel prossimo futuro. Tra Prandini, il cui potere è già consolidato, e Zaia, che cerca una collocazione nazionale, si gioca una partita ad alta tensione. Il dicastero diventa il crocevia di interessi divergenti: la rappresentanza territoriale del Nord-Est, l’influenza delle lobby agricole, gli equilibri interni alla maggioranza.
Giorgia Meloni, nel mezzo, deve bilanciare tutto: le ambizioni dei suoi, il consenso che non può permettersi di perdere e il controllo di un alleato che non vuole rendere troppo forte. Non si tratta solo di scegliere un ministro, ma di decidere chi può permettersi di pesare davvero in questo governo. E alla fine Zaia potrebbe rompere tutti i piani: presentare una sua lista alle prossime regionali e mettere nei guai, sul serio, il suo segretario Salvini.