Al Pio Albergo Trivulzio ci fu una strage durante l’emergenza Covid. Le famiglie delle vittime si mobilitano contro l’archiviazione. “Non celebrare il processo vuol dire negare l’accertamento dei fatti”

Non si rassegnano i familiari dei ricoverati decedute al Pio Albergo Trivulzio di Milano all’inizio della pandemia.

Al Pio Albergo Trivulzio ci fu una strage durante l’emergenza Covid. Le famiglie delle vittime si mobilitano contro l’archiviazione. “Non celebrare il processo vuol dire negare l’accertamento dei fatti”

Non si rassegnano i familiari delle tante persone che sono decedute al Pio Albergo Trivulzio all’inizio della pandemia (leggi l’articolo) a non vedere riconosciuta la verità e la giustizia che meritano. Il Pubblico Ministero Mauro Clerici dell’inchiesta sulla gestione del Covid nella famosa RSA milanese ha confermato la richiesta di archiviazione a cui l’associazione Felìcita, che raggruppa proprio quei familiari, ha fatto opposizione. Ora la parola spetta al gip Alessandra Cecchelli, che deciderà dopo Pasqua.

La Procura di Milano ha confermato la richiesta di archiviazione dell’inchiesta sulle morti al Pio Albergo Trivulzio

“È un dato di fatto – spiega a La Notizia il Presidente di Felìcita, Alessandro Azzoni – che al Trivulzio ci sia stata un’immane tragedia, con un numero di morti enorme, almeno 300 in pochi mesi. Le indagini della Guardia di Finanza e le consulenze dei medici interpellati hanno tutti confermato le gravi negligenze che ci sono state. Il consulente del PM ha addirittura messo per iscritto che nei primi mesi di pandemia la dirigenza del Trivulzio era più impegnata a nascondere quello che stava succedendo piuttosto che a risolverlo”.

Nonostante questo, però, i familiari degli ospiti della struttura per anziani si sono subito resi conto che qualcosa non andava. “Noi – continua Alessandro Azzoni – da subito abbiamo denunciato che la situazione al PAT fosse fuori controllo e che si dovevano salvare delle vite umane. Non dimentichiamoci che, come è emerso anche dagli atti dell’udienza preliminare, erano state vietate le mascherine e sono stati minacciati di licenziamento i lavoratori, soprattutto i sanitari, che si erano portati i dispositivi di protezione da casa”.

E ovviamente non dimentichiamo che sono stati trasferiti in una struttura per anziani, e quindi le persone più fragili in assoluto, pazienti affetti da Covid provenienti dall’ospedale di Sesto San Giovanni”. A sentire oggi, con la consapevolezza che tutti abbiamo acquisito dopo due anni di pandemia, questi racconti sembra assurdo e paradossale che qualcuno possa aver fatto scelte simili. E forse lo è davvero. Anche se non ne è convinta la Procura di Milano che continua a chiedere l’archiviazione del processo.

“Anche se non eravamo consapevoli di come affrontare una pandemia come lo siamo oggi – commenta Azzoni – non sono state rispettate neanche le più ragionevoli norme che possano impedire il propagarsi di un virus. Non bisogna, infatti, essere medici epidemiologi per sapere che un paziente vada isolato”. Sarebbe allora necessario fare luce su quello che è successo e sui motivi, se ce ne sono, che hanno spinto la direzione del Trivulzio e la Regione Lombardia a prendere determinate scelte.

“I parenti – rivendica il Presidente dell’associazione Felìcit – che hanno perso i propri familiari hanno il diritto di sapere che cosa non ha funzionato in una struttura che ancora oggi viene proposta come eccellenza nazionale e se si sarebbe potuto fare qualcosa per salvare delle vite umane. E il discorso non può essere liquidato con la giustificazione che è successo in tutte le RSA, perché non è vero: nello stesso comune di Milano ci sono strutture per anziani che non hanno avuto alcun morto. Evidentemente si poteva gestire la pandemia in modo diverso”.

La Procura, infatti, nega di poter dimostrare che la strage del Trivulzio sia diretta conseguenza degli evidenti errori della sua direzione. “Comprendiamo che la giustizia debba mettere in luce il nesso di causalità e quindi dimostrare, oltre ogni ragionevole dubbio, che le scelte dei dirigenti della struttura abbiano portato ai decessi, ma questo non toglie che il processo sia l’unico momento adatto per fare realmente luce rispetto a quello che è successo, che è necessario per i morti e per i vivi”.

Permettere almeno di celebrare il processo vorrebbe infatti dire per i familiari delle vittime vedersi riconosciuto il diritto al contradditorio e quindi la possibilità di appurare la verità. Ma forse ormai questo paese ha deciso di dimenticare quello che è successo con il Covid, quasi a volerci mettere una pietra sopra. “Ho letto le relazioni della commissione regionale d’inchiesta sul Covid – conclude il Presidente di Felìcita – e penso che in Lombardia ma forse in tutta Italia ci sia un gelido vento di impunità e di archiviazione”. Ma forse anche di negazione di quello che è stato, convinti ancora una volta erroneamente che non possa capitare più.