Al Senato non solo i numeri risicati. Per Conte c’è l’incognita Casellati. I giallorossi hanno perso la maggioranza assoluta. Ma l’atteggiamento della presidente preoccupa di più

Ricordate il secondo governo di Romano Prodi? Al Senato ballava che era un piacere. Con una maggioranza di 166 senatori su 322, e un manipolo di malpancisti sempre pieni di dubbi, ogni voto era una sfida al destino: quando è arrivato al capolinea, il 24 gennaio 2008, i voti a favore erano scesi a 156 (161 quelli contro). Ora il Senato colpisce ancora, e anche per Giuseppe Conte è diventato una trincea in cui giocarsi la pelle. Con una differenza: Prodi poteva contare su un presidente amico come Franco Marini, l’ex segretario della Cisl, mentre Conte ha davanti un osso ben più ostico: Maria Elisabetta Alberti Casellati, berlusconian-ghediniana di ferro.

SCIVOLO PERICOLOSO. Il 5 settembre 2019, giorno dell’insediamento, il governo Conte 2 ha incassato 169 voti. Mai più visti. Solo in tre occasioni, secondo Openpolis, ha ottenuto la fiducia superando quota 161: decreto crisi aziendali (168 voti), legge di bilancio 2020 e decreto fiscale (166 voti). Sulla fiducia per gli otto decreti Covid la maggioranza assoluta non c’è stata e per il decreto Cura Italia, che pure prevedeva uno scostamento di bilancio di oltre 20 miliardi di euro, i sì sono stati solo 142. Poco di più sul decreto scuola: 148. La nascita di Italia Viva e il continuo calo, tra fughe ed espulsioni, dei senatori M5S hanno frammentato e indebolito la maggioranza, oggi ridotta per Openpolis a 154 senatori (M5S, Pd, Iv, Leu e Maie) e altri sostegni più o meno stabili (rappresentanti delle autonomie, ex grillini, senatori a vita). Ben 12 senatori fanno anche parte del governo (tre sono ministri) e non possono sempre garantire la presenza in aula.

Esattamente come ai tempi di Prodi, l’opposizione può alzare o abbassare la soglia del numero legale con assenze strategiche e mettere il governo in difficoltà sui provvedimenti più spinosi. Esemplare il caos scoppiato, il 18 giugno, sul decreto elezioni. E poi c’è la variabile Casellati. Una presidente tutt’altro che super partes, come hanno più volte contestato Pd e M5S e come ha dimostrato, ultimamente, il sabotaggio al provvedimento-bandiera dei Cinque Stelle, il taglio dei vitalizi.

PANTANO MADAMA. La prima seria crisi è stata un anno fa, quando Queen Elizabeth ha respinto tre interrogazioni Pd sul caso Matteo Salvini-affari russi (motivazione: “Il Senato non può essere il luogo del dibattito che riguarda pettegolezzi giornalistici”). Altra crisi a dicembre, quando ha soppresso d’imperio 15 emendamenti alla legge di bilancio (ricordate il caso cannabis-light?), e a gennaio, quando in Giunta delle autorizzazioni ha contribuito a salvare Salvini con “un colpo di mano gravissimo” (Andrea Marcucci). è nel dietro le quinte, però, che si raccontano le sue ingerenze più pesanti, soprattutto sui presidenti di commissione. La sua arma preferita? L’ammissibilità delle interrogazioni, dei provvedimenti, degli emendamenti.

Il Vietnam è tale che il governo ormai devia i provvedimenti più importanti sulla Camera, da cui si sente più garantito, per la prima lettura. E li manda poi al Senato blindati con la fiducia. Sono due, ora, gli appuntamenti cruciali che aspettano Conte a Madama: il decreto Rilancio, su cui alla Camera è già stata posta la fiducia e che deve essere convertito al Senato entro il 18 luglio. E il voto sul terzo scostamento di bilancio, previsto da un nuovo decreto già annunciato da Roberto Gualtieri per metà luglio. Qui serve la maggioranza assoluta, 161 voti, e non è detto che ci siano tutti. Come diceva Prodi? “Avessimo vinto le elezioni con più agio sarebbe stato più facile, ma così è più thrilling, c’è più avventura. È più sexy”. Chissà se Conte condivide.