di Filippo Conti
Silvio Berlusconi torna a Roma dopo la scissione di Alfano & C. pimpante e barricadero. Ormai fa spallucce nei confronti dell’ex delfino (anche se i due si sono sentiti domenica al telefono) e derubrica così la scissione: “Nei partiti le minoranze restano, non se ne vanno”. Con una nota poi fa sapere che non parteciperà alla convention del Ncd prevista a Roma per la fine del mese, come qualcuno aveva ventilato. La sua giornata si concentra su due questioni: la legge di stabilità e il partito. A pranzo con i fedelissimi, infatti, ha ribadito che bisogna tornare a dare battaglia sulla manovra. “Così com’è non la votiamo”, ha detto ai suoi. Se dunque sabato al consiglio nazionale aveva messo tutte le premesse per il passaggio all’opposizione, ora l’operazione sganciamento da Letta sembra avviato. Un voto contro la manovra finanziaria, infatti, è una sfiducia de facto all’esecutivo. Ipotesi che piace molto a Raffaele Fitto e a Denis Verdini. “Ormai che ci stiamo a fare in questo governo?” ripetono al Cav da giorni come un mantra.
Poi c’è il partito. Ieri sera, nella sede in piazza San Lorenzo in Lucina, Berlusconi ha incontrato lo stato maggiore azzurro. In agenda la nomina del capogruppo in Senato e la decisione sul coordinatore. Per Palazzo Madama il derby è tra Anna Maria Bernini e Paolo Romani. Con quest’ultimo dato per favorito. Un passo indietro l’agguerrita senatrice padovana Alberta Casellati. Ma sul nuovo capogruppo ieri in Transatlantico circolava anche un’altra ipotesi, assai suggestiva: eleggere lo stesso Berlusconi, che poi, come si sa, è destinato a decadere col voto del 27 novembre. “L’idea è in campo, sarebbe una nomina da battaglia. Durerà poco, ma per due settimane ci divertiamo”, osservava il deputato Luca D’Alessandro. Infine, il problema del coordinatore del partito. Che il Cav, al momento, non ha alcuna intenzione di nominare nonostante le insistenze di Fitto, che resta in pole position per la carica. Da registrare, infine, una voce che ieri circolava con una certa insistenza a Montecitorio. Ovvero che Vladimir Putin, in visita a Roma a fine novembre, potrebbe nominare ambasciatore russo presso la Santa Sede proprio Berlusconi. Garantendogli così, grazie al passaporto diplomatico, l’immunità. E salvandolo dalla condanna ai servizi sociali. Fantapolitica? Ah saperlo, come direbbe Dagospia…