Al Sisi silura il capo dei Servizi. Prime ammissioni su Zaki e Regeni. Il generale Tareq rimosso e retrocesso all’anagrafe. I pm di Roma lo accusano della morte di Giulio

Al Sisi silura il capo dei Servizi. Prime ammissioni su Zaki e Regeni. Il generale Tareq rimosso e retrocesso all’anagrafe. I pm di Roma lo accusano della morte di Giulio

Sembra un caso del destino ma nel giorno in cui Giulio Regeni avrebbe compiuto 33 anni, il generale Tareq Ali Saber della National Security Agency, uno degli indagati per la morte del ricercatore italiano, è stato rimosso dal suo incarico. Si tratta dell’uomo che, ormai da anni, è a capo del servizio segreto interno e che è ritenuto il personaggio “più temuto dalla società civile egiziana”. Proprio a lui, infatti, competeva la direzione dell’ufficio che si occupa, tra le altre cose, di monitorare le ong, i sindacati e le organizzazioni politiche, e che proprio per queste attività è finito nel mirino della Procura di Roma che, in relazione all’omicidio Regeni, vorrebbe portarlo in Italia davanti ad un tribunale.

Curiosamente la notizia del provvedimento con cui il presidente Abdel Fattah al-Sisi ha messo alla porta il suo braccio destro, retrocesso a responsabile dell’ufficio che si occupa di emettere certificati di nascita e carte di identità, è passata inspiegabilmente sotto traccia nei media mainstream. A ben vedere, infatti, non si tratta di una retrocessione qualsiasi ma sembra una timida ammissione di responsabilità da parte del Cairo sui tanti dossier che riguardano il Generale Tareq e che hanno creato tensioni con l’Italia sia per il caso Regeni che per quello di Patrick Zaki, lo studente di Bologna tutt’ora detenuto con accuse fumose e in assenza delle benché minime prove.

Saber, infatti, è l’ufficiale più alto in grado fra quelli messi sotto accusa dalla Procura di Roma nell’abito dell’inchiesta per il rapimento e l’omicidio di Regeni. È a lui che arriva la denuncia del capo del sindacato ambulanti, Mohammed Abdallah, sulle presunte attività sospette di Giulio ed è lui che, senza alcuna prova, decide di mettere sotto sorveglianza il ragazzo che poi viene arrestato, torturato e ucciso. Un ruolo di spicco che l’uomo avrebbe avuto anche nel caso di Zaki, il ricercatore arrestato al Cairo quasi un anno fa e per il quale, dopo le pressioni del governo Italiano di Giuseppe Conte, aveva promesso che avrebbe fatto chiarezza salvo poi sparire nel nulla senza dare seguito a tali propositi.

Anzi qualche mese dopo, quasi a smentire quanto Tareq stesso aveva dichiarato, il potente generale andava avanti facendo arrestare anche 3 dirigenti dell’Egyptian initiative for human righst (Eipr) ossia l’ong con cui collaborava Zaki nel chiaro tentativo di mettere a tacere la società civile alla vigilia del cambio di presidenza negli Stati Uniti, in previsione di un ritorno al centro della scena della questione diritti umani, e sperando di far calare il sipario sulla storia dello studente bolognese detenuto.

STRADA ANCORA LUNGA. Insomma si tratta di un’uscita di scena che appare indissolubilmente legata ai due casi che coinvolgono l’Italia ma che non può e non deve bastare. Lo sa bene il Movimento 5 Stelle che, da tempo, è in prima linea sia nel tentativo di ottenere un giusto processo per i responsabili dell’omicidio Regeni che per quello di riportare in libertà Zaki. A spiegare la situazione è stato il deputato grillino Aldo Penna secondo cui Giulio era “un giovane uomo con tutta la vita davanti, se solo non avesse incontrato i suoi aguzzini in Egitto” peccato che “la sua vita si è fermata a 28 anni a causa della deriva autoritaria egiziana, della quale continuano ad essere vittime e prigionieri altri ragazzi, come Patrick Zaki”. Così, spiega il 5 Stelle “quello che oggi possiamo sottolineare è che a niente serve la rimozione dell’ufficiale che ha comandato il plotone di esecuzione di Regeni, se l’Egitto non consentirà un equo processo con pene certe ai responsabili delle torture e dell’omicidio di Giulio”.