I partiti pensano alle larghe intese. Ma i 5S se ne tirano già fuori. E Conte avvisa Draghi: “Diremo no alle nuove spese militari”

Alle elezioni i partiti pensano alle larghe intese. Ma il Movimento 5 Stelle non ci sta e se ne chiama fuori

I partiti pensano alle larghe intese. Ma i 5S se ne tirano già fuori. E Conte avvisa Draghi: “Diremo no alle nuove spese militari”

Come si suol dire, il dado è tratto. Semmai ce ne fosse ancora bisogno, le parole pronunciate ieri da Giuseppe Conte all’evento di presentazione del programma del Movimento Cinque Stelle a Roma, segna definitivamente una linea di demarcazione tra pentastellati e tutti gli altri partiti, Pd compreso.

L’accusa, d’altronde, è di quelle forti: “Non sentite già aria di nuove larghe intese? Che c’è una campagna molto strana con la candidata avvantaggiata nei sondaggi che dosa le uscite…Mi ha colpito molto lo spin doctor della Meloni, Crosetto, che su Avvenire accenna al fatto che si potrà fare un altro governo dei migliori. Sono già pronti a tirar fuori un altro esponente della comunità finanziaria, c’è sempre il migliore dei migliori.

Lo diciamo chiaramente: no ad accozzaglie e larghe intese – lo abbiamo fatto una volta perché il paese era in braghe di tela, per senso di responsabilità – noi non ci saremo”.  Parte da qui Conte per illustrare il suo programma all’Auditorium della Conciliazione tracciando un distinguo netto tra ‘noi’ e ‘loro’. Tra gli obiettivi a 5 stelle che sono “un impegno d’onore” e quelli delle altre “forze politiche specialiste nel potere” e nel saper “galleggiare”.

Poi, a due settimane dal voto, insieme a Verdi e SI, apre un fronte che si preannuncia bollente: “La prossima settimana – preannuncia – il governo nel silenzio generale porterà in Commissione dei decreti per 10 miliardi di maggiori investimenti militari. Troveranno il M5S a bloccare questa strada”.

A stretto giro, per voce di Enrico Borghi, arriva la replica del Pd: “Il Giuseppe Conte che oggi sale sulle barricate in nome del pacifismo antimilitarista è un omonimo di quel Giuseppe Conte che, da capo del governo, votò e fece votare l’istituzione del Fondo Investimenti Difesa i cui decreti attuativi sono oggi in emanazione?”. L’ennesima falsità in una campagna elettorale che evidentemente ancora riserva colpi bassi.

Platea e applausi

E non a caso le schermaglie non finiscono qui. “Letta ha detto che supereranno il Jobs act…non si è accorto che nel 2018 lo abbiamo superato noi? – incalza il capo politico del M5S – Era a Parigi. Se studiano i dati vedranno quale strumento formidabile è stato il decreto Dignità”.

Poi ricorda l’europarlamentare David Sassoli, “una persona per bene” e Angelo Vassallo, “il sindaco dimenticato dal Pd”. Conte non risparmia stoccate a nessuno, nemmeno a Draghi sui risultati ottenuti in Ue: “Il governo dei migliori aveva tutte le carte in regola, cv, competenze, conoscenze, entrature, ma se non lavori per il tuo popolo con coraggio e determinazione non vai da nessuna parte”.

E ancora, parlando del decreto aiuti bis bloccato in Parlamento: “Le altre forze politiche, che a chiacchiere dicono di voler salvare le aziende in difficolta’, non vogliono votare un emendamento che non richiede coperture e sblocca il meccanismo della cessione. Martedì vedremo…”.

Vestito di scuro, microfono e tablet stretto tra le mani, lo stile di Conte ricorda a molti quello di Steve Jobs: parla camminando per il palco, tra applausi e standing ovation ‘presenta’ l’evento dando di volta in volta la parola ai candidati: da Federico Cafiero De Raho fino al professor Livio De Santoli. I macro-temi affrontati vengono scadenzati dai video che scorrono sul maxi schermo. In platea ci sono le nuove leve e le vecchie glorie: da Paola Taverna a Roberto Fico, da Alfonso Bonafede fino a Virginia Raggi. Una platea di big che scroscia le mani dinanzi agli impegni di Conte, dalla lotta alla mafia al disarmo. Temi che pare essere stati dimenticati da tutti gli altri.