Sotto la retorica della competitività e del cibo a buon mercato, si estende una rete capillare di sofferenza, inquinamento e disuguaglianze. Più di 24mila allevamenti intensivi infestano oggi l’Europa: una mappa inedita, realizzata dal collettivo di giornalisti AGtivist, ha geolocalizzato queste strutture incrociando registri ufficiali, immagini satellitari e droni. Il risultato è un catalogo dell’orrore: capannoni che ospitano fino a 1,4 milioni di polli o 30mila suini, spesso oltre le soglie di legge, in condizioni che violano ogni principio di benessere animale e devastano territori e comunità.
L’Italia nella top five
Nel dettaglio, l’Italia figura tra i cinque Paesi con il maggior numero di strutture industriali: 1.242 avicole e 904 suinicole. Dal 2014 al 2023 sono stati aperti almeno 2.949 nuovi allevamenti intensivi in Europa, con più di 5mila autorizzazioni concesse. La tendenza è in crescita e, secondo gli autori dell’inchiesta, i numeri sono sottostimati per mancanza di trasparenza da parte di molti Stati membri. Il boom produttivo ha seguito logiche di concentrazione: mentre si costruivano queste “fabbriche di carne”, l’Europa ha perso 5,3 milioni di aziende zootecniche, in prevalenza familiari.
Le immagini raccolte da Essere Animali dentro un allevamento da 100mila polli in Lombardia raccontano cosa si nasconde dietro l’etichetta “filiera controllata”. Corpi deformati, zampette curve, petti troppo pesanti per reggersi in piedi, polli che non arrivano all’abbeveratoio e restano lì, in agonia. Le luci restano accese anche di notte, per impedire il riposo e accelerare la crescita. La lettiera è una crosta di escrementi su cui si accumulano carcasse in decomposizione. “Questo è il risultato di una selezione genetica spinta e di una produzione che premia solo la velocità,” denuncia l’investigatore Francesco Ceccarelli. Gli animali, ridotti a macchine biologiche, sono programmati per ingrassare e morire.
Emissioni, acque contaminate e biodiversità perduta
Secondo l’Ufficio europeo dell’ambiente, gli allevamenti intensivi sono responsabili del 12–17% delle emissioni di gas serra dell’Unione. I fiumi Wye nel Regno Unito, la Garonna in Francia, le falde acquifere spagnole: ovunque il modello si impone, lascia dietro di sé inquinamento da nitrati, fioriture algali tossiche e metano. In Francia metà delle fabbriche di carne si concentra in Bretagna, dove la proliferazione di alghe verdi ha già provocato morti umane. E in Italia? Le denunce si moltiplicano, ma i controlli restano sporadici. Intanto la Commissione Ue continua a parlare di “standard elevati”.
Dietro l’espansione delle mega farm c’è anche l’architettura dei sussidi pubblici: la Politica Agricola Comune dell’Ue, ancora oggi, premia le aziende più grandi. “Scale up or die”, sintetizza Greenpeace: o cresci, o sei fuori. I contributi, in molti casi, superano i 500mila euro per singola domanda, grazie a programmi come il Targeted Agriculture Modernisation Scheme. I piccoli allevatori restano esclusi. Secondo La Via Campesina, ogni ora in Romania scompaiono tre fattorie familiari. In Francia, tra il 2010 e il 2020, hanno chiuso 100mila aziende agricole e si sono persi 80mila posti di lavoro.
Riforme promesse, poi abbandonate
La Commissione europea aveva promesso una revisione strutturale sul benessere animale. Ma nel 2024 ha cancellato tre riforme su quattro, compreso il bando agli allevamenti in gabbia. La giustificazione ufficiale è il nuovo contesto geopolitico post-Ucraina, ma per le associazioni si tratta dell’ennesima resa alla lobby zootecnica. “È una corsa al ribasso”, accusa Sirpa Pietikäinen, eurodeputata del PPE. “Manca il coraggio politico”, aggiunge Tilly Metz dei Verdi. Intanto, ogni anno di inazione significa milioni di animali lasciati a soffrire in condizioni che la scienza considera “inadeguate da decenni”.
Mentre Bruxelles si proclama paladina dell’agricoltura sostenibile, le sue politiche facilitano la concentrazione fondiaria, la disuguaglianza e l’insostenibilità ambientale. Secondo il team investigativo di AGtivist, molte mega farm europee sono controllate da multinazionali americane e brasiliane che riforniscono fast food e supermercati. Le scelte alimentari quotidiane sono il punto terminale di una filiera che inizia in un capannone, passa per l’esportazione e si regge su soldi pubblici.
Una proposta alternativa
In Italia, la campagna “Oltre gli allevamenti intensivi” promuove una proposta di legge per una transizione che tenga conto della salute, dell’ambiente e del lavoro agricolo. Chiede più trasparenza, fine dei sussidi alle aziende che violano il benessere animale e incentivi alle realtà virtuose. È una battaglia di civiltà, ma anche un’azione urgente per evitare che l’intera zootecnia europea si trasformi in un’industria fuori controllo, dove la vita vale meno del prezzo al chilo.