Altre minacce di Renzi a Conte. Salvini esulta, Zingaretti tace. L’ultimatum dell’ex premier è un azzardo. Se si torna al voto rischia di finire come Mastella nel 2008

Persino in Europa, come ha detto il premier, si intravedono “spiragli nella trattativa”. Polonia e Ungheria sono vicini a un compromesso per sbloccare il Recovery e il bilancio Ue, finora tenuti in ostaggio dalla minaccia di veto posta da Budapest e Varsavia. Ma in Italia no. Rimane il veto di Matteo Renzi. Al punto che slitta il Cdm per avere il via libera, almeno, sul progetto per la gestione delle risorse Ue. Che avrebbe permesso a Giuseppe Conte di recarsi a Bruxelles con un primo risultato sulla strada della predisposizione del piano. Ma il senatore di Rignano non lo permette.

Ieri era la questione della sfiducia a Bonafede per la prescrizione, poi è stata la volta del Mes, oggi la battaglia la sposta sul terreno del Recovery plan. E poco importa se in gioco ci sono 209 miliardi per la ripartenza e il rilancio dell’Italia. Nel suo intervento al Senato, dove è in corso la discussione sulla riforma del fondo salva-stati in vista del vertice Ue, Renzi scaglia un attacco di una durezza inusitata nei confronti di Conte. Appare perfino più mansueto al confronto l’altro Matteo. Licenziato con pochi passaggi il sì alla revisione del Mes, Renzi si concentra sul suo nuovo cavallo di battaglia.

Iv intende imporre a Palazzo Chigi una marcia indietro sulla struttura delineata per gestire le risorse europee, pena la rottura. “Se nella manovra entra la governance del Next Generation Eu e una norma con la Fondazione dei servizi segreti votiamo no”, avvisa. Il premier ha (o meglio aveva) immaginato una struttura piramidale per la cabina di regia che dovrebbe gestire le ingenti risorse provenienti da Bruxelles formata da Conte, Patuanelli e Gualtieri con sotto una struttura operativa formata da manager. Fuori il partito di Renzi. E questo per il senatore di Rignano è stato un affronto imperdonabile come lo è stato il no di Conte alle richieste esplicite di rimpasto.

Oggi però l’ex premier dice a Conte che non gli interessano le poltrone. “C’è chi sostiene che la posizione di Iv sia legata a qualche interesse di partecipazione alla cabina di regia: non scambieremo il nostro sì alla governance per uno strapuntino o un posto a tavola. Un governo non può essere sostituito da una task force, il Parlamento non può essere sostituito da una diretta Facebook”. E si spinge oltre: “Sappia che se ha bisogno di qualche poltrona ce ne sono tre, due da ministro e una da sottosegretario, nostre a sua disposizione”.

Un discorso da applausi, il suo: quelli del centrodestra. Il leader della Lega Matteo Salvini addirittura gli si avvicina. E poi c’è il Pd. Nicola Zingaretti invita il governo a risolvere i nodi aperti ma non si esprime sugli ultimatum di Renzi. è fin troppo noto che anche i dem non hanno mai gradito la cabina di regia immaginata da Conte. Il che non significa però che non guardino con preoccupazione ai ripetuti colpi che Renzi assesta al premier e al governo.

Ecco dunque che Graziano Delrio, alla Camera, e Andrea Marcucci, al Senato, chiedono che non venga commissariato il Parlamento, invocano collegialità e condivisione. Delrio suggerisce a Conte di prendere come esempio “Papa Francesco”: “umiltà, ascolto, orecchio attento al Paese che sta soffrendo molto”. C’è chi descrive Renzi questa volta come irremovibile, chi parla invece di ennesimo bluff. Di certo quello che il senatore di Rignano sogna (sostituire Conte, fare un nuovo governo) non è realizzabile.

Il Colle ha mandato chiari segnali in questo senso. In caso di crisi si va al voto. E in tal caso che fine farebbe l’ex rottamatore? Rischierebbe col suo 3% di fare la fine di Clemente Mastella nel 2008. Quando neanche Silvio Berlusconi volle candidarlo perché la sua sola presenza faceva perdere consensi nei sondaggi. Ma almeno Mastella si poté consolare con l’elezione della moglie prima come consigliera regionale poi come senatrice. Per Renzi non si intravede neanche questa possibilità.