Altro che assenteismo Capitale. I 5S smontano l’ultima fake news. Repubblica: a marzo 50% di assenze in Campidoglio. Ma nel dato infila pure i lavoratori in ferie forzate

Non ci stanno i dipendenti di Roma Capitale a passare per fannulloni. E il Campidoglio respinge le polemiche sorte sull’impiego dello smartworking nel settore pubblico. In un articolo di qualche giorno fa La Repubblica analizzava le presenze dei dipendenti del comune di Roma durante il lockdown paragonandole a quelle di Milano. Nella città amministrata da Virginia Raggi le assenze registrate nel mese di marzo registrerebbero tassi oltre il 50% nei municipi (maglia nera al Primo col 64%). Diversamente, nel capoluogo lombardo i tassi di assenza si collocherebbero tra il 15 e il 28%. Presenze pari al 64,2% nel gabinetto della sindaca, assenze del 5,7% in quello del sindaco Giuseppe Sala.

Ma nelle assenze registrate a Roma – spiega il consigliere M5S della Capitale, Giuliano Pacetti – erano conteggiati anche le ferie e i permessi straordinari per il Covid. “Ferie appunto non smart working. Perché la scelta all’inizio dell’emergenza è stata quella di far prendere le ferie arretrate che per legge devono essere consumate entro aprile”. E se hanno consumato alcuni giorni di ferie i dipendenti capitolini non sono certo andati al mare ma sono rimasti a casa in quarantena. Pacetti nega, poi, che tutti coloro che hanno lavorato lo abbiano fatto in smart working: “I servizi indifferibili e incomprimibili non sono mai stati interrotti”.

Senza considerare che a causa dell’emergenza provocata dal coronavirus i dipendenti che hanno lavorato da remoto, invece, non hanno scelto di proposito questa modalità: hanno dovuto farlo. I nostri dipendenti in questa emergenza – continua Pacetti – hanno lavorato senza sosta ma anche senza straordinari retribuiti (perché non sono previsti in smart working) e senza buoni pasto (i risparmi ottenuti dai buoni pasto di marzo sono stati utilizzati per incrementare il numero dei buoni spesa destinato alle famiglie in difficoltà). Il consigliere pentastellato non crede al mito sui dipendenti pubblici uguale fannulloni, “soprattutto al comune di Roma dove in questi quattro anni abbiamo messo in atto una vera e propria rigenerazione della macchina amministrativa con più di seimila nuove assunzioni da concorsi pubblici”.

Soprattutto rifiuta il teorema per cui nel privato lo smart working sia sinonimo di innovazione e risparmio e nel pubblico di nullafacenza. E ricorda che nel privato molte grandi aziende hanno già deciso di continuare con il lavoro da remoto fino al 31 dicembre. E, a ogni modo, tale modalità non dev’essere demonizzata ma “può e dev’essere valorizzata sia nel pubblico che nel privato con logiche di alternanza ben modulate”. Lo smart working al momento è previsto fino al 31 luglio ma sono in arrivo proroghe, ha garantito il ministro della Pubblica amministrazione, Fabiana Dadone.

L’obiettivo è arrivare a regime a garantirlo per il 30% del personale, “ove sia compatibile con il tipo di mansione che si svolge”. Un obiettivo che si è posta anche la Raggi. “Abbandoniamo il feticcio del cartellino, le polemiche sui furbetti, e iniziamo a far lavorare per obiettivi, con scadenze giornaliere, settimanali, mensili”, ha spiegato Dadone. Il 14 maggio è stato raggiunto un accordo con i sindacati per regolare modalità organizzative e retributive del lavoro da remoto per i dipendenti capitolini. “Roma Capitale si sta affermando come vero e proprio laboratorio all’avanguardia in Italia per quanto concerne lo smart working, sia a livello di produttività dei servizi che riguardo la tutela e la valorizzazione delle competenze e delle professionalità”, ha avuto modo di affermare in quell’occasione l’assessore al Personale, Antonio De Santis.