Altro che cambio di passo. Se mancano i vaccini Mario non è più tanto Super. Senza dosi sufficienti non c’è piano vaccinale che tenga. E ora torna in campo l’ipotesi di produrre il siero in Italia

Altro che cambio di passo. Se mancano i vaccini Mario non è più tanto Super. Senza dosi sufficienti non c’è piano vaccinale che tenga. E ora torna in campo l’ipotesi di produrre il siero in Italia

Chi fa da sé fa per tre avrà pensato il ministro dello sviluppo economico, Giancarlo Giorgetti, che giovedì incontrerà al Mise il presidente di Farmindustria, Massimo Scaccabarozzi, per un primo confronto sulla possibilità di produrre in Italia il vaccino anti Covid. E’ questa una delle ipotesi al vaglio per affrontare la sempre più carente fornitura di vaccini contro il Sars Cov 2. “Ci vuole un robusto cambio di rotta per il piano vaccini nazionale”, secondo Guido Bertolaso.

“Non si combatte il virus stando dietro ad una scrivania aspettando che qualcuno risolva i problemi” ha affermato. “Bisogna identificare bene gli obiettivi, stabilire quelli che sono i tempi per vaccinare le persone che ne hanno più bisogno ed identificare le categorie a rischio anche sulla base di quelle che sono le situazioni epidemiologiche” ha aggiunto. Ma si sa, il piano Bertolaso non è stato gradito dal nuovo Governo e quindi rispedito immediatamente al mittente.

L’ex numero uno della Protezione civile in fine si è detto “non d’accordo” con la richiesta delle Regioni di essere autonome per la ricerca dei vaccini, sebbene tra queste ci sia in pole position, oltre al Veneto, proprio la regione Lombardia di cui è consulente nelle gestione del piano vaccinale: “L’approvvigionamento deve essere su base nazionale e ci vuole una cabina di regia che deve avere la competenza, la conoscenza, l’esperienza e la capacità di decidere come questi vaccini vanno distribuiti e secondo quali tempistiche”.

In realtà secondo Giorgio Palù, presidente dell’Aifa, ci sarebbe una possibile cordata di aziende biotech italiane a guida statale in grado di fare massa ed iniziare ad aggiornare gli impianti per produrre vaccini. L’ipotesi, prevede anche un investimento pubblico strategico, “sarebbe auspicabile, ma questa è una volontà politica, il Governo dovrebbe fare il primo passo”. Certo è che “abbiamo almeno cinque aziende di grosso calibro italiane – secondo Massimo Scaccabarozzi, presidente di Farmindustria – ma bisogna tener conto, in relazione ai singoli casi, di un adeguamento degli impianti e dei relativi tempi di processo”.

Pur avendo impianti per “terapie avanzate”, questi andrebbero adattati per la produzione ad hoc di vaccini mRna come Pfizer e Moderna (o a vettore virale come Astrazeneca), cosa che richiede un investimento importante. Ci sono società con competenze di alto livello “nel settore delle terapie avanzate, dove l’Italia che pure ha fatto parte dell’avanguardia in Europa nella messa a punto delle prime terapie, non ha oggi una capacità produttiva correlata al suo potenziale – secondo Riccardo Palmisano, presidente Assobiotec – nonostante la presenza di eccellenze come Holostem a Modena, AGC Biologics a Bresso o l’Ospedale Bambino Gesù di Roma, con il suo “bioreattore” (fondamentale per produrre vaccini a Rna)”.

In questa operazione potrebbe entrare anche la Difesa. Dotarsi della tecnologia adeguata per produrre mRna, sia per i vaccini, ma anche per le terapie avanzate anticancro, permette di elaborare un piano a lungo termine “i siti della Difesa potrebbero assolvere a tale obiettivo. – secondo il generale Antonio Zambuco, che si è occupato proprio di queste attività in piena pandemia -. Durante la prima ondata non avevamo respiratori, ci siamo adoperati e ne abbiamo prodotti 2mila in poco tempo. Non avevamo mascherine a disposizione, adesso le produciamo noi: 1,5 milione di Ffp2 e 3,5 milioni di chirurgiche”.

Secondo Nicola Latorre, direttore generale dell’Agenzia Industrie Difesa, “è una questione di Sicurezza nazionale sanitaria”. Certo è che il settore farmaceutico, con 34 miliardi di euro di produzione in Italia è un asset strategico dell’economia. “Siamo leader, insieme alla Germania, nel settore. Noi, esportiamo l’80 per cento di farmaci prodotti nel mondo – ricorda il presidente di Farmindustria –. L’Italia non è solo turismo, è anche farmaceutica, è un settore enorme, non dobbiamo dimenticarlo”. La pandemia, però, ha trovato il nostro paese spiazzato.

“La fotografia del settore dice che su più di 230 società di terapie geniche, cellulari e rigenerativa in Europa, solo 8 sono Italiane – sottolinea Palmisano – e nessuna di queste è preparata, nell’immediato, con bioreattori per la produzione di vaccini a Rna. Se l’Italia vuole essere competitiva nel settore della produzione bio-farmaceutica e sfruttare eccellenza delle maestranze e costo del lavoro contenuto deve fare adesso un deciso salto di qualità”. Ma cosa ne pensa Mario Draghi, il salvatore dell’Italia?