Altro che Meloni riformista, l’Italia tra i Paesi più conservatori d’Europa: ancora una volta i numeri battono la propaganda

Dietro la patina moderna, i dati collocano l’Italia tra i paesi più conservatori d’Europa: valori, agenda, priorità

Altro che Meloni riformista, l’Italia tra i Paesi più conservatori d’Europa: ancora una volta i numeri battono la propaganda

Giorgia Meloni continua a presentarsi come leader «moderna» e «pragmatica». Ma i dati dicono altro: l’Italia è oggi tra i paesi più conservatori d’Europa, e il suo governo ne è il prodotto coerente, non l’eccezione. Lo mostra l’analisi di Lorenzo Ruffino sui dati della European Social Survey 2023: un termometro culturale che misura atteggiamenti verso immigrazione, diritti LGBTQ, rapporto con l’autorità e peso dell’identità nazionale rispetto a quella europea.

I numeri: un Paese a +1 sulla scala del conservatorismo

L’indice ricostruito da Ruffino, espresso in z-score (distanza dalla media Ue in deviazioni standard), colloca l’Italia a +1,0: una deviazione piena, sopra la media europea. Scomponendo l’indice, il quadro è ancora più netto: +0,8 sull’asse immigrazione/diritti e +1,4 su tradizionalismo e identità nazionale, il valore più alto tra i grandi paesi dell’Europa occidentale. Sono numeri pubblicati il 3 settembre 2025 e costruiti ponderando i campioni per renderli comparabili tra paesi.

Il confronto internazionale spazza via le autoassoluzioni: Francia vicino allo zero complessivo (-0,1), Germania leggermente più liberale (-0,5), Spagna a -1,1. In alto, il blocco più chiuso è quello dell’Est: Ungheria +2,5, Slovacchia +2,4, Bulgaria +2,0; dall’altra parte Svezia -1,6 e Norvegia -1,2. La mappa culturale dice che l’Italia è più vicina a Budapest che a Stoccolma: non un incidente, una tendenza.

La fotografia ovviamente ha una conseguenza immediata sul racconto politico. Se il Paese premia identità, ordine, gerarchie e confini, la «modernità» rivendicata da Palazzo Chigi diventa soprattutto estetica: un linguaggio aggiornato, una regia comunicativa aggressiva, un uso disinvolto delle parole «riforma» e «innovazione». Ma dentro, l’architettura valoriale resta ancorata alla tradizione come criterio, all’autorità come risposta, alla nazione come recinto.

L’agenda di governo allineata al clima culturale

Dal 2022 a oggi, l’impronta dell’esecutivo si legge nella scelta dei terreni simbolici e normativi: famiglia tradizionale come perno identitario, immigrazione trattata anzitutto come minaccia da contenere, diritti civili rinviati o compressi nel nome dell’ordine e delle priorità «vere». È il portato di quel +1,4 sul tradizionalismo: un Paese che chiede certezze verticali e riconoscibilità nazionale trova nel governo una risposta speculare. Chiamarla «modernizzazione» è scambiare la forma per la sostanza.

C’è poi il capitolo autorità: dalla retorica securitaria alla centralità dell’esecutivo nelle riforme istituzionali, l’asse si sposta verso un decisionismo che piace a un’opinione pubblica educata a fidarsi dei capi più che delle procedure. Anche questo rientra nell’indice: il rapporto con l’obbedienza e la leadership è una delle variabili considerate dall’European Social Survey e pesa nella direzione del conservatorismo culturale italiano.

Identità nazionale

Infine, identità nazionale versus europea. Qui il differenziale italiano è marcato: l’idea che il perimetro dei diritti e delle scelte debba coincidere con la nazione, e che Bruxelles sia un limite più che una garanzia, spinge il consenso a politiche che privilegiano appartenenza e radici rispetto a integrazione e standard comuni. È la ragione per cui il racconto «sovranista ma moderno» regge mediaticamente, mentre in realtà consolida un set di priorità antiche: famiglia, ordine, confini, autorità.

Il punto, dunque, non è se Meloni «sia» moderna: è che governa un Paese che non lo è e che, misurato con strumenti comparativi, sta una spanna sopra la media europea per chiusura culturale e tradizionalismo. La politica non fa che seguire – e rinforzare – quel solco. Gli editorialisti che continuano a venderci una premier «riformista» e «post-ideologica» dovrebbero prendersi un’ora, leggere l’analisi di Ruffino sui dati ESS 2023, e aggiornare il lessico: qui non c’è discontinuità, c’è coerenza con una domanda sociale conservatrice. Il resto è posa, trucco di scena. I numeri – ancora una volta – non applaudono.