Altro che rilancio del Pd, dopo le primarie il partito rischia la rissa. Già scoppiate coppie storiche

Doveva essere il congresso della pace e quindi del rilancio. Invece rischia seriamente di consegnare un Pd ancora più lacerato.

Doveva essere il congresso della pace e quindi del rilancio. Invece rischia seriamente di consegnare un Pd ancora più lacerato. Di sicuro ha già provocato la fine di sodalizi storici, come quello tra Andrea Orlando e Matteo Orfini. Il ministro della Giustizia corre infatti per la segreteria contro Matteo Renzi, mentre il reggente del partito è un grande sostenitore dell’ex premier. Certo, se fosse solo una questione personale tra loro due, per i dem sarebbe una questione archiviabile. Il problema è più radicato e riguarda la tenuta complessiva del Pd: ci sono divisioni di linea politica, tanto da far paventare l’ipotesi che siano le ultime primarie, almeno così come sono state conosciute finora. Del resto, la fase congressuale è stata inaugurata da una scissione. Per questo il capogruppo dem alla Camera, il franceschiniano Ettore Rosato, ha cercato di minimizzare: “Quella di domenica è un’amichevole, il campionato si fa con gli altri partiti”. Ma le parole del presidente della Regione Puglia, Michele Emiliano, hanno espresso un altro concetto: “Se Renzi continua sulla sua linea, non posso non criticare”. Quindi appena chiusi i gazebo, si ripartirà con le polemiche. Anche perché a distanza c’di un mese arriva un appuntamento perfetto per la resa dei conti, con annesso processo al segretario (specie se sarà Renzi): il voto delle Amministrative di giugno.

Progetto Macron – L’effetto Macron si è fatto sentire anche sulle primarie. Renzi è infatuato dal vincitore del primo turno in Francia, tanto da avvalorare la sua tesi: spostare il Pd al centro, seguendo il cammino del movimento En Marche. Come se non bastasse ha ribadito che deciderà di non allearsi mai con il Movimento democratico e progressista, formato dagli ex Pd. Una vera mazzata agli ex Ds che non hanno seguito Pier Luigi Bersani nella scissione, sperando in un buon risultato di Orlando e quindi in uno spostamento a sinistra. E proprio da Mdp è arrivata la stoccata, attraverso il presidente dei deputati Francesco Laforgia: “Il Pd è ormai diventato il PdR, il partito di Renzi, e non c’è lo spazio per modificare questo progetto che ha ormai assunto una deriva centrista”. Ma a poche ore dal voto ha rivolto un appello che è quasi un corteggiamento a Orlando ed Emiliano: “Gli faccio un in bocca al lupo”.

Coppie scoppiate – L’opera di ricostruzione del Pd si annuncia impervia pure a causa di rotture personali. Orfini che non ha seguito Orlando è solo la punta di un iceberg. Altri due compagni di corrente, Maurizio Martina e Cesare Damiano, si sono separati: il il ministro dell’Agricoltura è diventato addirittura il vice di Renzi, mentre l’ex sindacalista ha puntato sul Guardasigilli. Non è stato da meno l’allontanamento del presidente della Regione Lazio, Nicola Zingaretti, dall’ex sindaco di Firenze, in favore dell’appoggio dato ad Orlando. Che dire poi del sostegno della madrina delle Unioni civili, Monica Cirinnà, al Guardasigilli, che ha provocato travasi di bile tra i renziani? E in questo clima è difficile immaginare che dal 1° maggio qualsiasi polemica sarà seppellita. Specie se l’affluenza, come stimano alcuni sondaggisti, sarà inferiore ai 2 milioni.