Antidoti per la riforma

Di Pierpaolo Velonà per Il Corriere della Sera

Una volta li chiamavano portaborse. Il bilancio del Senato li inquadra con un’espressione più neutra: «Personale delle segreterie particolari». Tutti assunti a tempo determinato e legati ai senatori da un rapporto fiduciario. Sul loro numero esatto, il mistero è assoluto (in passato, un’indagine dell’Ispettorato del lavoro portò alla luce un vasto sottobosco di lavoratori in nero). Si sa però quanto sono costati gli stipendi dei «collaboratori» nel 2013: 12 milioni e 150 mila euro.

È una delle voci di spesa contenute nel bilancio del Senato: una torta da 541,5 milioni di euro. L’esborso è articolato in decine di rivoli: dagli stipendi ai vitalizi, dalla rappresentanza al personale ai servizi informatici. Un flusso che la spending review collegata alla riforma del Senato certamente ridurrà ma non riuscirà a prosciugare di colpo.
«L’unica certezza è che con la riforma spariranno gli stipendi dei senatori», dicono negli uffici di palazzo Madama. La nuova Aula sarà infatti composta da 95 tra sindaci e consiglieri regionali (più 5 membri nominati dal Colle) che non prenderanno alcuna indennità aggiuntiva. E già questo comporterà un risparmio annuale di 80 milioni e 151 mila euro.

Fin qui tutto bene. È sul resto che le certezze svaniscono. Perché, pur senza stipendio, i futuri senatori avranno comunque bisogno di alcune figure di supporto. Difficile dunque che spariscano dal bilancio annuale le spese attualmente previste per i portaborse (i 12,1 milioni di euro di cui sopra), le consulenze (2,2 milioni) e l’attività dei gruppi parlamentari (21 milioni e 350 mila euro, in parte destinati ad altri contratti a termine). Questa, almeno, è l’aria che tira tra gli addetti ai lavori.
Ne è convinta anche Valentina Tonti, specializzata in gostwriting, vicepresidente dell’associazione Collaboratori parlamentari che da tempo si battono per essere contrattualizzati dall’istituzione Senato (sul modello dell’Ue) e non dagli eletti: «Visto che i futuri senatori non lavoreranno a Roma a tempo pieno – dice Tonti – credo proprio che avranno necessità di qualcuno che segua per conto loro i lavori dell’Aula».

Una richiesta condivisa anche dai consiglieri regionali, ai quali la riforma assegnerà il ruolo aggiuntivo di senatore. Massimiliano Romeo, capogruppo della Lega Nord alla Regione Lombardia, ne fa una questione di efficienza: «Il doppio incarico sarà impegnativo: andare a Roma, viaggiare… Per questo sarà importante avere qualcuno che ci possa dare una mano ai gruppi». Idem la capogruppo pd dell’Emilia-Romagna Anna Pariani: «Ancora è prematuro parlarne, ma credo che qualche collaboratore ci sarà utile, altrimenti l’istituzione non riuscirà a funzionare bene». Il consigliere dem siciliano Giuseppe Lupo suggerisce piuttosto di utilizzare al meglio gli assunti a tempo indeterminato di palazzo Madama: «Anche perché al Senato ci andremo di tanto in tanto».
Già, gli assunti a tempo determinato. In Senato sono un esercito di 829 persone (da non confondere con i portaborse): segretari, stenografi, assistenti e coadiutori. Nel 2013 sono costati 130,8 milioni di euro. Un’altra voce che non potrà sparire. Così come, naturalmente, saranno confermate le pensioni degli ex dipendenti: ogni anno 115 milioni e 200 mila euro. E i vitalizi concessi agli ex senatori: 82 milioni di euro.