Antonio Di Fazio: chi è l’imprenditore accusato di aver narcotizzato e violentato cinque studentesse

Antonio Di Fazio, proprietario della Global Farma srl, è accusato di aver narcotizzato e abusato di 5 studentesse. L'ultima l'ha denunciato

Antonio Di Fazio: chi è l’imprenditore accusato di aver narcotizzato e violentato cinque studentesse

Antonio di Fazio, 50 anni, amministratore unico della Global Farma Srl e imprenditore del settore farmaceutico, è accusato di violenza sessuale, sequestro di persona e lesioni aggravate. Secondo i carabinieri di Milano Porta Monforte avrebbe narcotizzato e abusato di una studentessa di 21 anni dell’Università Bocconi dopo averla attirata con la scusa di un colloquio di lavoro.

Antonio Di Fazio: chi è l’imprenditore accusato di aver narcotizzato e violentato cinque studentesse

Secondo i carabinieri ci sarebbero altre quattro persone che hanno subito lo stesso trattamento. La dose di Bromazepan fatta assumere alla giovane, prima con un caffè, poi con del succo d’arancia, era di più del triplo di una dose giornaliera. Tanto che l’aggiunto Letizia Mannella e la pm Alessia Menegazzo nel capo d’imputazione scrivono di “intossicazione con avvelenamento”. La ragazza che si è trovata a casa sua la mattina del 27 marzo, totalmente priva di forze e completamente stordita non è la sola che l’imprenditore ha attirato nella trappola. Tanto che il gip Chiara Valori sottolinea come nel telefonino di Di Fazio siano state scoperte fotografie di altre ragazze, “dello stesso tenore” di quelle che riprendevano la giovane che ha denunciato, “scattate dall’ottobre 2020”. Una galleria fotografica, annota il giudice, “degna di un novello Barbablù”. E l’analisi di quella galleria è definita “sconvolgente”.

Dalle indagini è emerso che era un millantatore. Sulla scorta di un contratto di forniture di mascherine alla Regione si spacciava come fornitore dell’Alto commissario per l’emergenza Covid. Mentre in macchina sono stati trovati una pistola finta, un lampeggiante in uso alle forze dell’ordine e un tesserino del ministero dell’Interno. Un arsenale che gli serviva per spacciarsi come faccendiere. Insieme all’asserita conoscenza con potenti industriali internazionali. Dopo la violenza, insospettito da una perquisizione si era affrettato a inquinare le prove. Cercando di farsi precostituire un alibi dai famigliari (la cui condotta è reputata “equivoca e reticente”). E denunciando la ragazza per calunnia. Ma, soprattutto, inventandosi una tentata estorsione da parte dei congiunti della vittima, a suo dire in difficoltà economiche.

L’accusa a Di Fazio: violentatore seriale

Nella perquisizione in casa dell’uomo erano state trovate, nascoste in una nicchia a scomparsa della cucina, due confezioni di Bromazepam. Di fronte alla perquisizione, scrive il gip, Di Fazio aveva mostrato “indignazione” poiché, dal momento che gli erano stai sequestrati cellulare e computer correva “il grave rischio di inadempienza economica e allo svolgimento lavorativo professionale nei confronti delle Asl”.

Il racconto della ragazza parte da un invito due giorni prima a un incontro di lavoro proprio con Di Fazio. Prima la visita alla Global Farm e poi la scusa di un meeting con altri manager a casa sua. La ragazza sa che l’uomo vive con la madre e il figlio adolescente. Beve il caffè e il succo d’arancia. Si risveglia il giorno dopo alle 13,30 con il fidanzato preoccupato al citofono. Il giorno dopo sporge denuncia.

Nell’ordinanza che lo ha portato in carcere i magistrati descrivono Antonio Di Fazio come un moderno Barbablù. Da un anno e mezzo il suo telefonino si riemiva di immagini. 54 scatti di donne seminude e che sembrano incoscienti.  “Immagini che nessuna spiegazione alternativa possono avere se non quella di documentare il “trofeo” da lui conquistato”, scrive il giudice. Foto che ritraggono almeno quattro scenari diversi tra di loro e che fanno ipotizzare agli investigatori che ci siano almeno altre quattro vittime del suo metodo: l’invito con una scusa, la droga nel bicchiere, le violenze, le foto.

Le barche, il lusso, i pranzi nei posti giusti

A molti diceva di esser diventato “alto commissario per il Covid”, una figura che non esiste e che lui diceva di essersi guadagnato dopo aver ottenuto l’autorizzazione regionale a distribuire mascherine durante l’emergenza sanitaria. Si spacciava per uomo dello Stato, quando girava con il lampeggiante blu acceso montato sulla sua auto. Lo stesso che i militari hanno ritrovato a casa sua durante la prima perquisizione dello scorso 5 aprile.

Così come un tesserino del ministero degli Interni, di quelli a portafoglio con lo stemma, con cui probabilmente si fingeva un uomo dei servizi segreti. Per essere più credibile si era procurato anche una pistola, finta, ma fatta bene, simile a una Glock. Su un social l’imprenditore si descrive come “azionista di riferimento di alcune aziende nell’ambito della farmaceutica ed opera in diversi settori all’avanguardia del settore. Occorre essere poliedrici oggi più che mai”, scrive nella presentazione. Pochi, però, gli amici e i follower sui social network.

La difesa di Antonio Di Fazio: vittima di un’estorsione

Quando la ragazza e il fidanzato hanno denunciato, lui ha ricevuto la telefonata di una persona con un accento calabrese. Che gli ha detto “Ti squarcio in due”. Rocco Romellano, il suo avvocato, attende di conoscere tutte le accuse prima di parlare. Lui ha dichiarato di essere vittima di un’estorsione da 500mila euro. Ha controdenunciato la giovane il 24 aprile. Ha sostenuto che lei abbia insistito per salire in casa a salutare la madre e il figlio. E di aver respinto la richiesta di lei di rimanere a dormire lì quella notte. Sostenendo poi che, essendo «autorizzato agli spostamenti fuori orario in quanto fornitore dell’alto commissariato Covid 19, si sarebbe offerto di riaccompagnarla a casa».

Una versione contraddittoria, in parte sorretta anche della sorella di Antonio Di Fazio, probabilmente in buona fede secondo gli inquirenti. Medico oncologo, la sorella ai carabinieri ha sostenuto la versione del fratello sulle richieste di soldi. Sarebbe partito inoltre dal suo cellulare il whatsapp che ha fatto scattare la trappola. Il 22 marzo la vittima ha raccontato di aver ricevuto un  messaggio: «Ciao come stai? Chiama Anto che ti fa vedere l’azienda come eravamo d’accordo, no?».

L’imprenditore, nel confidarsi al telefono con un’amica cartomante, minacciava ritorsioni anche contro il padre della ragazza abusata: «Ti faccio saltare per aria!». E poi ancora: «La mia paura più grossa è che c’era l’affidamento di mio figlio in corso! (…) Se io perdo mio figlio giuro che scendo giù e l’ammazzo io direttamente».

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