di Vittorio Pezzuto
Guido Crosetto, imprenditore cuneense e coordinatore nazionale di Fratelli d’Italia, lo sostiene da tempo: «Occorre tornare indietro sugli errori commessi dalla Fornero. La sua riforma non ha creato posti di lavoro, li ha distrutti. Allungando i tempi che potevano intercorrere tra due contratti a tempo determinato, ha poi accorciato il periodo di lavoro di tanti ragazzi. Ha messo in crisi tutti gli stagionali. Da buona professoressa universitaria ha insomma dimostrato, come adesso il ministro Giovannini, la sua totale ignoranza dell’economia reale».
Intanto i dirigenti ministeriali che scrivono queste norme a fine mese ricevono in ogni caso lo stipendio…
«La burocrazia statale tende sempre a tutelarsi. Per quel che mi riguarda, la possibilità di licenziamento l’applicherei innanzitutto al settore pubblico. Non c’è speranza per questo Paese fino a quando non si potrà premiare il funzionario meritevole e cacciare quello incapace. È una vera vergogna».
L’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori è davvero un freno alla crescita delle aziende italiane?
«Quando la nostra economia tirava diventava un freno soltanto per un’impresa che aveva a che fare con dipendenti disonesti. È diventato un problema rilevante con l’avanzare della crisi, quando alcune aziende si sono viste costrette a ridurre il proprio personale. E adesso rappresenta un forte condizionamento per quanti nonostante tutto pensano a nuove assunzioni, superando la quota fatidica dei 15 dipendenti. Sono pochi quelli che se la sentono di fare questo passo».
L’obbligo per legge del reintegro in caso di licenziamento dichiarato illegittimo costringe l’imprenditore ad avere con un proprio dipendente un rapporto più longevo che con la propria moglie…
«In effetti è più facile divorziare. Non si vuole capire che nessuna azienda ha intenzione di privarsi di un collaboratore se non per necessità o perché non ripone più in lui la fiducia necessaria».
Non sarà che da noi sopravvive una cultura politica e sociale che individua nell’imprenditore un nemico dei lavoratori?
«È uno dei temi. Gli scontri sindacali vanno bene quando attengono alle retribuzioni, alle tutele in caso di malattia e maternità oppure per impedire la pratica delle dimissioni in bianco. Per il resto, continuo a pensare che il rapporto tra imprenditore e lavoratore sia quasi simbiotico: entrambi hanno tutto l’interesse che l’azienda funzioni bene».
La rigidità delle regole scoraggia anche gli investimenti stranieri?
«Certo. Altrove non esiste una legislazione così farraginosa, complessa e incomprensibile. E mi fermo col pensiero all’Europa, senza mettere in mezzo i casi degli Stati Uniti e della Cina».
Perché i sindacati frenano ogni volta sulle riforme?
«Perché si comportano come ogni organizzazione complessa. Al primo posto pongono gli interessi delle uniche categorie che ne garantiscono la sopravvivenza: pensionati e lavoratori a tempo indeterminato. Tutelano il loro bacino economico, sono diventati un luogo di vendita di servizi e godono ormai di una vasta gamma di privilegi e poteri di sottobosco che non ha nulla da invidiare alla politica»
Si battono per la difesa dell’articolo 18 ma, proprio come i partiti, sono esentati per legge alla sua applicazione nei confronti dei loro dipendenti.
«È vero, e pochi sanno di questa situazione surreale. Così come ogni tanto si legge qua e là di episodi di offerta di soldi in nero a dipendenti che li stanno per denunciare… Diciamo che conoscono perfettamente la legislazione del lavoro e sanno come muoversi. Dovrebbero lavorare per creare le condizioni per nuovi posti di lavoro, preferiscono invece impegnarsi per rendere immodificabili alcuni loro tabù. Son ben lontani dall’adottare il modello dei loro colleghi tedeschi: diventare i sindacati dei lavoratori di domani e non soltanto di quelli del passato».
I giudici del lavoro tendono a dare sempre ragione al lavoratore ricorrente.
«Guardi, in questi anni ne ho viste di tutti colori e molte sentenze sono davvero incommentabili. Purtroppo il tribunale del lavoro è il luogo nel quale si è sempre concentrata una certa magistratura militante. E gli effetti della sua azione spesso sono devastanti. Ho assistito a reintegri di persone che non avevano mai lavorato in quella data azienda così come di barellieri di ospedale che avevano addirittura violentato una paziente sedata prima che entrasse in sala operatoria. Poi, per carità, non voglio dare l’idea di un mondo imprenditoriale modellato sull’esempio di San Francesco ma quello della prevedibilità di certe sentenze – sempre e comunque a favore del lavoratore – è un elemento di grande condizionamento per chi fa impresa».
Renzi ha lanciato il ballon d’essai dell’esenzione dell’articolo 18 per i neoassunti ma poi sembra essersi subito defilato…
«Mi dispiace per lui, ne aveva fatto una buona. Aveva aperto un tema serio di confronto proprio quando governo e Parlamento brillano soltanto per paura e mancanza di coraggio».
Come giudica i suoi primi giorni da segretario del Pd?
«Sta usando una parola che mi piace molto: tempo. Mi sembra che abbia chiaro in testa che questo è un Paese che non si può più permettere di aspettare, di sprecare tempo. Motivo per cui non so come farà ad appoggiare ancora per molto il governo Letta…».
Intanto sembra aver sottratto a Berlusconi il ruolo del leader che detta al Paese i temi di discussione e l’agenda politica del Parlamento.
«È un cambiamento positivo. Renzi è una grande sfida per tutto il centrodestra e la sua capacità di rinnovarsi. Innesca nel sistema la possibilità di giocare partite vere in cui dimostrare chi è davvero più bravo. Negli ultimi anni, purtroppo, si è solo giocato a chi era meno peggio».