Assedio a Renzi. Il Pd diviso rischia grosso

di Peppino Caldarola

E’ una guerra dei nervi – Gramsci avrebbe detto una “guerra di posizione”, un “assedio reciproco” – quella fra Renzi e i suoi avversari del Pd. L’uno ogni giorno sembra sempre più propenso a presentarsi come candidato segretario del partito, gli altri non sanno più che cosa escogitare per rallentarne la corsa. Per differire la sua scesa in campo, per cercare un candidato in grado di batterlo. Lo stato dell’arte dice, al momento, che Renzi, con l’intervista a “Repubblica”, ha fatto un considerevole passo in avanti nella candidatura. Per bloccarlo devono inventarsi un rinvio del congresso al prossimo anno, regole restrittive sulle primarie, la separazione netta fra segretario e candidato premier. Possono farlo, una o tutte e tre le cose, ma il prezzo che gli anti-renziani pagherebbero, in termini di immagine, sarebbe incalcolabile. La moral suasion verso Renzi sembra altrettanto improponibile: il sindaco di Firenze non vuole fare altro che il segretario-candidato premier, per esempio non gli interessa l’Europa e rifiuta il paterno, o meglio paternalistico, invito di D’Alema di andare in quel parlamento per farsi conoscere dal mondo. A lui basta Firenze, l’Italia, pensa, la seguirà.

Contro Renzi ci sono tanti argomenti. A parte quelli più cretini, “è un belusconiano”, è un uomo che “porterà il Pd a destra”, ce ne sono almeno due che hanno qualche sostanza. Il primo dice che con Renzi segretario, Letta dura poco. Si paragona questa eventualità al tempo in cui Veltroni divenne segretario del Pd e poco dopo Prodi cadde. Peccato che Prodi capottò in parcheggio per la fragilità della sua maggioranza, per la defezione, ancora una volta, di Bertinotti, per il “caso Mastella”, per una certa ignavia del suo governo. Veltroni comunque era un leader del Pd “bello e fatto”. Era stato chiamato a furor di popolo, non aveva nemici visibili nel partito, rappresentava, soprattutto dopo il Lingotto, una ipotesi che affascinò amici e annichilì i nemici. Renzi invece se vincesse le primarie dovrebbe far tutto da capo. Dovrebbe conquistare il partito reale, rimetterlo in piedi secondi suoi criteri, conquistarlo. Gli occorrono mesi ,altro che Bliez Krieg contro Letta.

Il partito, altra obiezione sa sormontare, che Renzi ha in testa non è banalmente un partito liquido. Prevede sia il porta a porta sia i social net work, combina sezioni e associazionismo: è insomma un arcipelago di cose, alcune fluide altre radicate, che è il contrario sia del comitato elettorale sia del partito organizzato in sezioni e strutture verticali che da lì partono.
Renzi, in sostanza, riprende non solo la marcia di Veltroni ma coglie i suoi avversari impreparati, tuti protesi a chiedere maggiore appartenenza, un radicamento che negli anni di Bersani non si è visto, incapaci di trovare un leader alternativo.
L’unico che ha contrastato a viso aperto Renzi è stato D’Alema, con il quale Renzi nell’intervista di ieri a “Repubblica” ha rinunciato a polemizzare sgarbatamente. Non si capisce che cosa ha spinto D’Alema dall’iniziale appeasement con Renzi a metterglisi contro fino a capeggiare i suoi avversari che senza di lui contano niente. Probabilmente è stato un errore, una sopravvalutazione dell’anti-renzismo che circola nel partito, un tentativo di domarlo. A mio parere è stato un errore. Renzi non è Cofferati, cioè non è un uomo della sinistra che conosce le regole della nomenklatura e si piega ad esse né risponde a movimenti di tipo tradizionale. Renzi è un giovane leader arrogante, che ha alle spalle una platea di sostenitori ampia, fondata sui sindaci e su mondi anche lontani dal Pd che tifano per lui. Non è maneggiabile.

Soprattutto Renzi non è contrastabile in nome di un’idea astratta di sinistra. Renzi, a differenza di quello che diceva qualche mese fa e a differenza di quel che diceva il Veltroni post Lingotto (non quello di oggi), non demonizza la parla sinistra. La declina a modo suo, in termini blairiani, ma non rifiuta l’etichetta. E questo non è solo un fatto nominalistico. Quando la sinistra si sente abbandonata riesce a raccogliere tutto il suo mondo, conservatori, radical e liberal. Quando invece diviene terreno di caccia spinge ciascuno ad occupare una posizione, dare una interpretazione, a impedire rendite. E Renzi ha scelto quella dell’innovatore. D’Alema e gli altri si sono auto-assegnati quella dei conservatori. La crisi culturale dell’antirenzismo è tutta qui.
La domanda è se Renzi ce la farà e soprattutto che cosa farà. La prima risposta è sicuramente affermativa. Il Pd che dovesse ostacolare Renzi si farebbe del male, la dispersione dei candidati segretario, genialata per rosicchiare voti al sindaco di Firenze, è un tale artifizio che si ritorcerà contro i suoi inventori. Un minuto dopo l’eventuale vittoria Renzi dovrà fare i conti con la realtà. Dovrà passare dalla poesia alla prosa. Dovrà innanzitutto dare l’idea che è in grado di riformare il suo partito. Rottamare Veltroni e D’Alema è stato facile perché i due hanno senso del partito e rispetto di sé. Ma c’è una pletora di personaggi, anche fra le file renziane, che meriterebbero il congedo definitivo. Poi va messa in pratica la nuova formula organizzativa in modo che spinga i militanti a trovare nuove ragioni di lavoro e ritornino a casa. Infine c’è il progetto Italia.

Renzi parla di modernizzazione, di lotta antiburocratica, di fisco amico eccetera. Giustissimo. Ma quel che non dice lui, e dice nessuno, è che cosa deve diventare l’Italia. Nel dopoguerra lo sapevamo: l’Italia doveva diventare un paese industriale con una agricoltura rinnovata, capace di fabbricare auto e frigoriferi, forte nella chimica e nella siderurgia. Oggi? Bastano le misure fiscali a spingere nuovi italiani a diventate imprenditori e altri a spostarsi dalle proprie città per cercare avventure produttive? E’ questo il sogno che va evocato. Renzi deve dire che Italia vuole. Sono decenni che non lo dice alcuno. Provi lui a sfidare la pigrizia e l’ipocrisia. Solo così sarà non solo il probabile premier ma anche un leader. I suoi competitor sembrano aver rinunciato a questa partita avvolti in discussioni nobili e noiose sulla forma-partito, sull’appartenenza, su cosa significa essere di sinistra. Forse bisogna volare più alto.