Attentato mafioso ad Antoci. Lo Stato stavolta si arrende. Archiviata l’inchiesta sull’agguato nei Nebrodi. L’ex presidente del parco sfuggì per miracolo

Ha perso lo Stato. Abbiamo perso tutti. Rimane, infatti, senza colpevole l’agguato mafioso all’ex presidente del parco dei Nebrodi Giuseppe Antoci

Ha perso lo Stato. Abbiamo perso tutti. Rimane, infatti, senza colpevole l’agguato mafioso all’ex presidente del parco dei Nebrodi Giuseppe Antoci. Il gip di Messina, Eugenio Fiorentino, ha archiviato l’inchiesta sull’attentato del maggio 2016 nel quale Antoci si salvò per miracolo. Un attentato che rimane, quindi, senza colpevoli. E ciò, nel pieno rispetto del lavoro della magistratura inquirente e requirente, si traduce però di fatto in una sconfitta. Lo Stato ha mollato. La legalità si è arresa. Proprio nella terra simbolo della lotta alla mafia, nella regione di Falcone e Borsellino. Perché quell’agguato del 2016 ha un significato ben preciso e si inquadra in un percorso che l’allora presidente Antoci aveva intrapreso. Infatti, era stato lui ad introdurre un Protocollo di legalità per l’assegnazione degli affitti dei terreni. Perché era stato Antoci, da presidente del parco, ad accorgersi che i terreni degli enti pubblici, per anni, erano stati una fonte di finanziamento per alcune associazioni mafiose. Ed è qui  che Antoci decise di intervenire senza se e senza ma: tutto doveva passare dalla certificazione antimafia della Prefettura. Il nuovo corso del presidente non fu però ben visto da tutti.

Così la sera del 17 maggio 2016 un commando in tuta mimetica provò a fare fuori Antoci. Era da poco passata l’una di notte quando la Lancia Thema blindata, nella quale si trovava Antoci, stava percorrendo la strada provinciale tra i comuni di Cesarò e San Fratello, nel Messinese. Dietro di lui, viaggiava su un’altra auto il vice questore Davide Manganaro. All’improvviso l’agente della scorta alla guida frenò perché vide dei sassi sulla strada e una vettura messa di traverso. Il panico e un boato. Colpi di arma da fuoco esplosi contro l’automobile. Antoci si salvò grazie all’intervento immediato della scorta e di Manganaro che risposero al conflitto a fuoco. Uno degli attentatori rimase ferito: infatti furono rinvenute macchie di sangue e due molotov sul luogo dell’agguato. Tutti riuscirono a scappare. Nell’inchiesta furono coinvolte 14 persone. Gli uomini del commando ad oggi rimangono però senza volto.

Per il gip “l’avvenuta esplorazione di ogni possibile spunto investigativo, non consente di ravvisare ulteriori attività compiutamente idonee all’individuazione di alcuno degli autori dei delitti contestati”. Ma circa sei persone quella notte dovevano assolutamente uccidere Antoci, oggi divenuto responsabile Legalità del Pd e impegnato su questo fronte. Compreso il proprio caso, per cui spera ancora nell’emergere delal verità. “Solitamente – spiega – nei casi delle stragi di mafia, nonostante il lavoro della magistratura, se non salta fuori un pentito non si ricava un ragno dal buco. L’archiviazione ha, comunque, messo in luce la modalità efferata dell’agguato e l’intenzione, che era quella di fermare il protocollo. Spero che presto spunti un collaboratore di giustizia che dica chi sia stato. Vorrei davvero vedere i responsabili dietro le sbarre, anche per alleviare la sofferenza mia e della mia famiglia e la costante preoccupazione con la quale si affronta una vita blindata. Mi auguro che ciò accada a breve”.