L’autogol del Referendum. Così il fronte del No ha compattato la maggioranza. Se le Regionali dovessero finire male M5S e Pd potrebbero rifarsi sbandierando il successo del Sì

Chi è causa del suo mal pianga sé stesso è un proverbio dal significato piuttosto chiaro: chi ha prodotto per proprio conto una determinata situazione che ha finito per danneggiarlo deve prendersela unicamente con sé stesso, non con altri o con la sorte avversa. È il caso di chi ha proposto la raccolta delle firme per chiedere il referendum confermativo sulla riforma del taglio dei parlamentari, il cui esito sarà prevedibilmente scontato. Miseramente fallita l’iniziativa coi banchetti nelle piazze promossa dai radicali (sarebbero servite 500mila firme, ma la conta si è fermata a 669), a consentire la consultazione sono state quelle raccolte in Senato da tre promotori: Andrea Cangini e Nazario Pagano di Forza Italia e Tommaso Nannincini del Pd i quali, lo scorso gennaio, sono riusciti a depositare in cassazione 71 firme (7 in più del numero necessario) grazie al soccorso di sei parlamentari leghisti.

Cosa otterranno la sera del 21 settembre i 42 firmatari forzisti e i loro “aiutanti”? Due cose. Una in realtà già l’hanno ottenuta, cioè la rinsaldata alleanza fra Pd e M5s, come sottolineato ieri dal ministro Luigi Di Maio, all’indomani dell’ufficializzazione dei dem: “Il Sì del Pd rafforza l’alleanza e ci permette di affrontare le prossime due settimane con la lealtà che ha sempre contraddistinto questa coalizione, ora terremo fede ai patti sulla legge elettorale e sulle modifiche ai regolamenti parlamentari, incanalando dunque la riduzione del numero dei parlamentari in un discorso di riforme più ampio, così come richiesto lunedì nella sua relazione in Direzione Pd dal segretario Nicola Zingaretti.

Intanto già ieri era atteso il voto sul testo base della legge elettorale a Montecitorio (il cosiddetto Germanicum, un sistema proporzionale con soglia al 5%) ma la votazione è slittata a domani poiché l’opposizione ha chiesto che prima del voto si svolgesse la discussione generale sul provvedimento. In ogni caso pacta servanda sunt, ma non è solo la blindatura dell’alleanza l’effetto collaterale del referendum, vi è un aspetto che chiarisce ancor meglio quanto la scelta di FI di promuovere questa consultazione abbia dato luogo ad un’eterogenesi dei fini: il 20 e 21 si vota anche in sei Regioni e, anche se dovesse andare non benissimo per i partiti di governo, questi avrebbero comunque qualcosa da festeggiare il day after.

Per il Movimento sarebbe un risultato importantissimo, frutto di una battaglia storica, meno rosea la situazione al Nazareno: pur avendo cavalcato l’onda del taglio dei parlamentari, per il Pd una déblâce sui territori sarebbe abbastanza fatale. Date per perse Veneto, Liguria e Marche, con la sfida in Puglia e in Toscana il segretario si gioca molto. A meno di un tracollo totale, cioè un 7 a zero (si vota anche in Val d’Aosta), o al limite di un sei a uno, per l’esecutivo non dovrebbero esserci scosse telluriche (al limite un rimpasto) ma la vittoria del centrodestra nelle due regioni sopra citate spazzerebbe via con ogni probabilità la segreteria Zingaretti per inaugurare l’era Bonaccini.