Autonomia differenziata, Briganti: “È violenza alla Costituzione”

Parla il docente di diritto costituzionale, Renato Briganti: "Giuste le critiche espresse dal vescovo Battaglia".

Autonomia differenziata, Briganti: “È violenza alla Costituzione”

L’autonomia differenziata divide l’Italia ancor prima di entrare in vigore. A contestare la riforma Calderoli, approvata la settimana scorsa in Senato e che ora dovrà passare all’esame della Camera, anche il vescovo di Napoli, Don Mimmo Battaglia, che ad una lettera ha affidato le sue perplessità sull’imminente futuro del Mezzogiorno. “Una decisione – scrive Battaglia – che contiene la divisione, intesa come perverso progetto politico”. Il vescovo si sofferma a lungo “sulla volontà egoistica dei territori ricchi del Nord, divenuto opulento con le braccia e l’intelligenza dei meridionali, provenienti da un Sud svuotato progressivamente di fondamentali ricchezze, al posto delle quali sono arrivati a fiumi inganni e false promesse”. Parole che non hanno lasciato indifferente chi conosce bene la Costituzione come il professore Renato Briganti, docente di Diritto Costituzionale presso il Dipartimento di Economia dell’Università Federico II di Napoli.

Professore, ha letto l’appello del vescovo alle istituzioni? Quale potrebbe essere il futuro prossimo del Mezzogiorno?
“Fa riflettere la lunga lettera di Don Mimmo Battaglia che stimo moltissimo non solo come figura di riferimento spirituale, ma anche come uomo coraggioso. Ha trovato le parole giuste e condivido la sua preoccupazione per il ‘progetto perverso’. Nella nostra Costituzione ci sono divari e doveri. Sono individuati dei divari economici, politici e sociali, ma ci sono dei doveri di solidarietà. La riforma trascura in maniera consapevole questi principi. Chi ha già avrà ancora di più, chi invece è in difficoltà avrà ancora di meno. Il ddl Calderoli è un progetto consapevole di violenza alla Costituzione e che disgregherà le comunità”.

Quali saranno le conseguenze per il Sud?
I problemi che riguarderanno il Meridione saranno inevitabilmente dei danni anche per l’Italia. I padri e le madri della nostra Costituzione avevano immaginato un progetto di coesione sociale che prevedeva l’equilibrio tra Nord e Sud, tra generi, generazioni e tra lavoratori. Il Mezzogiorno rischia di allontanarsi ulteriormente dal resto del Paese, in particolare le quattro regioni a statuto ordinario saranno maggiormente penalizzate sia per le differenze con il Settentrione sia per i servizi sociali. Il progetto costituzionale già prevedeva l’autonomia regionale, basterebbe leggere l’articolo V, che promuove e valorizza le autonomie locali. Il principio del ‘chi ha di più’, su cui si fonda la riforma Calderoli, è in contrapposizione frontale con i dettami costituzionali di coesione sociale, di redistribuzione delle ricchezze e soprattutto indivisibilità dei diritti fondamentali.

La Lega nega che il divario aumenterà. Per Calderoli con questa legge sarà superata definitivamente la “questione meridionale”. Secondo il suo osservatorio i servizi essenziali sono invece a rischio?
“Le criticità le riscontreremo su vari fronti. Un primo esempio riguarda la possibilità di cambiare i concorsi. Un cittadino potrebbe trovarsi di fronte a un concorso pubblico in Veneto, Lombardia o in Emilia Romagna in cui si chiedono candidati solo residenti in quella Regione. L’autonomia lo consentirebbe e già questo, per i tanti meridionali che hanno trovato un lavoro nelle scuole e negli ospedali del Nord, sarebbe un primo cambiamento. C’è poi la mortificazione nell’erogazione dei servizi essenziali non solo Nord-Sud ma anche nel rapporto tra Regioni e Comuni: in quanto nel primo caso si incrementerebbero le competenze in materia di governance e programmazione, mentre nel secondo si ridurrebbero al minimo i fondi. Tutto ciò manderà in tilt il rapporto tra istituzioni e cittadini”.

Qual è il suo maggiore timore per il futuro dei giovani e dell’istruzione?
“Sono molto preoccupato del rapporto tra generazioni, non c’è mai stata una incomunicabilità come quella che noto in questi ultimi tempi. Il ruolo della comunità educante è delicatissimo, ora in particolare. Ritengo che non abbiamo spiegato bene ai giovani quanto sia necessaria la democrazia, è come se fosse mancato un passaggio di trasferimento culturale. I nostri nonni, che hanno patito la guerra e anche le difficoltà economiche degli anni successivi, ci hanno saputo far capire quanto fosse fondamentale la libertà. Piero Calamandrei diceva: ‘La libertà è come l’aria, ci si accorge di quanto vale quando comincia a mancare’. Dobbiamo trasmetterlo ai ragazzi e anche alla nostra generazione”.