Baffino e l’affare bulgaro

Di Marco Gorra per Libero Quotidiano

Massimo D’Alema è sempre più vicino a superare Federica Mogherini nella corsa verso Bruxelles. Non solo il nome del leader Maximo è presenza fissa negli ultimi toto-nomine che girano a Bruxelles, ma adesso accanto al nome è spuntata anche la casella: quella del Commercio.

A dare all’ex premier lo sprint decisivo – come per una sorta di mutuo soccorso tra ex comunisti – rischia di essere la Bulgaria. La crisi di governo, apertasi dopo le Europee e culminata sei giorni fa con la ratifica del Parlamento alle dimissioni presentate dal premier Plamen Oresharski, può infatti innescare un effetto domino capace di arrivare da Sofia fino a Roma.

Il quadro è il seguente: la Bulgaria è tra i Paesi che hanno avanzato una candidatura (quella dell’ex commissario Kristalina Georgieva) per l’Alto rappresentante della Politica estera e di sicurezza comune (Pesc) dell’Unione, lo stesso posto per cui il governo italiano ha schierato la Mogherini.

La candidatura bulgara era nata con una forza ed una debolezza: la forza derivava dall’essere espressione del blocco dell’Est, cui è consenso unanime spetti un top job onde sancirne l’ingresso nella grande famiglia comunitaria; la debolezza derivava dal non avere il pieno appoggio del governo patrio: la Georgieva è di area Ppe, e pertanto era malvista dall’esecutivo coalizionista composto da socialisti e minoranza turca (con l’opposizione assai blanda dei nazionalisti).

Quest’ultimo impedimento adesso è però venuto meno. Il governo Oresharski non è più e a portare il Paese alle urne in ottobre sarà un esecutivo di salute pubblica. Esecutivo nel quale rientrerà il Gerb, partito di ispirazione popolare dell’ex premier Boyko Borisov. Costui è intenzionato a presentarsi alle elezioni per riconquistare la poltrona su cui è stato seduto dal 2009 al 2013.

E presentarsi in campagna elettorale potendo rivendicare di avere spuntato per l’esordiente Bulgaria nientemeno che la prima vicepresidenza dell’Unione europea (la carica è connessa a quella di Alto rappresentante) sarebbe un colpaccio. Per questo, si può stare sicuri che nel mese che ancora manca al decisivo vertice del 30 agosto Sofia metterà in campo tutte le carte per portare a casa la nomina.

Da cui l’effetto domino che arriva fino a Roma. Se la Georgieva dovesse farcela (a suo favore gioca anche il Cencelli: sicura una vicepresidenza al socialista francese Pierre Moscovici, la signora riequilibrerebbe il cruciale conteggio) e la Mogherini contestualmente uscire di scena, allora toccherebbe a D’Alema, la cui candidatura resta preminente sulle alternative Emma Bonino (più concentrata, pare, sulla corsa al Quirinale) e Paolo De Castro (papabile solo se all’Italia toccasse l’Agricoltura).

Che la pratica sia a buon punto lo dimostrano gli spifferi che, come detto, vogliono già pronta per l’ex premier anche la delega: quella al Commercio. Per l’Italia sarebbe un ripiego tutto sommato onorevole: fermo restando lo smacco per avere subito il veto dei partner sulla Mogherini e rinunciato ad un posto ad altissimo prestigio come quello di Alto rappresentante, il nostro Paese si consolerebbe in virtù del peso tutt’altro che ridotto della delega incassata. Il commissario al Commercio, infatti, si occupa di negoziare gli accordi commerciali con i Paesi terzi.

Tra i dossier sul suo tavolo c’è quello relativo al Ttip, l’accordo di libero scambio tra Ue ed Usa che vale qualcosa come duecento miliardi di euro e che a Washington sta parecchio a cuore. Quale migliore occasione per D’Alema per dimostrare agli americani (che definire non entusiasti al pensiero di vederlo sbarcare a Bruxelles è un eufemismo) che tanta diffidenza è malriposta?