Bancarotta Ste, confermata in Appello la condanna per Verdini. Cinque anni e 6 mesi di reclusione per l’ex senatore

La Corte d'Appello di Firenze ha confermato la condanna di primo grado (5 anni e 6 mesi) per l'ex senatore di Ala, Denis Verdini.

Bancarotta Ste, confermata in Appello la condanna per Verdini. Cinque anni e 6 mesi di reclusione per l’ex senatore

La Corte d’Appello di Firenze ha confermato la condanna di primo grado per l’ex senatore di Ala, Denis Verdini a 5 anni e 6 mesi nel processo per la bancarotta fraudolenta della Ste, la Società Toscana di Edizioni, che fino al fallimento ha pubblicato Il Giornale della Toscana abbinato a Il Giornale.

Anche in primo grado Denis Verdini era stato condannato a 5 anni e 6 mesi

Confermate anche le condanne per gli altri imputati: 5 anni all’ex deputato Massimo Parisi, 3 anni come amministratori nelle varie fasi a Girolamo Strozzi Majorca Renzi, Pierluigi Picerno ed Enrico Luca Biagiotti. La stessa Corte fiorentina ha condannato Verdini e gli altri imputati al pagamento delle spese processuali e delle spese delle parti civili. La procura generale aveva chiesto la conferma delle condanne del primo grado.

Il processo riguardava la bancarotta della Ste, la società editoriale che nel 1998 ebbe tra i suoi fondatori e investitori gli stessi Verdini, Parisi e il principe Strozzi, che fin dall’inizio e nel tempo sono stati tutti a vario titolo amministratori, con ruoli diversi, nella Ste. Imputati come amministratori della Ste, ma in fasi molto successive alla fondazione, Pierluigi Picerno e Enrico Luca Biagiotti.

“Faremo certamente ricorso in Cassazione contro la decisione della Corte d’appello, perchè a nostro parere è ingiusta” ha annunciato all’Adnkronos l’avvocato di Verdini, Massimo Rocchi. “Il patrimonio della società – ha detto ancora il legale – è stato reintegrato due anni prima della dichiarazione di fallimento. Pertanto, non esiste più il reato di bancarotta fraudolenta. Per noi questo è un fatto storico e processuale. Aspettiamo di leggere le motivazioni della Corte per capire perché in appello i giudici hanno riproposto le stesse pene del primo grado”.