In Bankitalia serviva la svolta: mentre le banche saltavano Palazzo Koch ha dormito. Ma l’agguato non redime Pd e Governo

Vista l’assoluta incapacità di fronteggiare la crisi delle banche più esposte non si capisce come Visco potesse solo sperare di restare in sella

Diciamocela tutta: l’arroganza di certa politica ci ha fatto buttare giù tanti di quei bocconi amari da non stupirci se il governo avesse confermato il governatore di Bankitalia, Ignazio Visco. E dire che sotto la sua guida il sistema creditizio ha vacillato come non mai, sono saltate grandi banche e migliaia di risparmiatori ci hanno lasciato le penne. Certo, i poteri di vigilanza di Via Nazionale sono stati in larga parte assorbiti dalla Banca centrale europea, ma gli ispettori ciechi negli istituti che affondavano, le porte girevoli di dirigenti che lasciavano l’istituto per andare ad assumere incarichi strapagati nelle banche che poco prima controllavano, l’assoluta incapacità di fronteggiare la crisi delle banche più esposte, non si capisce come potessero fare solo sperare a Visco di restare in sella. In un sussulto di dignità del Pd (e con tanti saluti dal circoletto Renzi – Boschi) ieri è arrivato il foglio di via per il governatore, mettendo d’accordo per una volta il segretario del Pd e il Fatto Quotidiano, giornale che da mesi bombarda il titolare di Palazzo koch. Come sanno bene i nostri lettori, anche La Notizia ha pubblicato decine di articoli sui costi della Banca d’Italia, elencando la sfilza di privilegi dei troppi dipendenti di una banca centrale che dopo il passaggio delle funzioni principali a Francoforte è ormai paragonabile a un dispendioso centro studi. Anche ai tempi di ben altri governatori – Einaudi, Menichella, Carli, Baffi, ecc. – molti poteri erano limitati alla moral suasion, ma allora Bankitalia sapeva farsi rispettare.

Dopo la stagione di Antonio Fazio, ingiustamente fucilato per aver difeso con ogni mezzo l’italianità del sistema (anche se sbagliò integralmente nell’affidarsi a personaggi come Fiorani e sotto di lui ai cosiddetti furbetti del quartierino) arrivò Draghi, che non fece in tempo a preparare la successione, per la chiamata sperata ma non scontata alla Bce. In quel vuoto, Visco la spuntò su Saccomanni e prese un incarico che non poteva essere svolto più grigiamente. La crisi del sistema era innescata e il detonatore attivato dalle nuove regole di Basilea fece diventare molte situazioni persino più gravi di quelle che erano. Persino un colosso solido e in fin dei conti ben gestito come Unicredit fu costretto a fare diversi aumenti di capitale. Due banche – il Banco Popolare e la Popolare di Milano scelsero di rafforzarsi percorrendo la strada della fusione. Altri gruppi invece saltarono. Nel caso del Monte dei Paschi di Siena lo Stato è riuscito a metterci una pezza, ovviamente scucendo un bel po’ di miliardi di euro dei contribuenti. Altre situazioni si è tentato di governarle con marchingegni come il Fondo Atlante, dove il sistema bancario e la Cassa Depositi e Prestiti (cioè alla fine sempre lo Stato) hanno bruciato altri miliardi cercando di tenere in piedi essenzialemente le due maggiori banche venete: la Popolare di Vicenza e Veneto Banca.

Operazione non riuscita, anche se una volta parzialmente ripuliti i due istituti sono stati acquistati per il prezzo simbolico di un euro da Intesa Sanpaolo. Contemporaneamente dovevano fermarsi altre quattro banche minori, la Cassa di Risparmio di Ferrara, Banca Etruria, Banca Marche e Carichieti, finite in risoluzione. In tutti questi disatri i risparmiatori ci hanno rimesso sempre un sacco di soldi. Il valore delle azioni tenuto troppo alto ha di fatto azzerato l’investimento di migliaia di persone, per non parlare delle somme destinate all’acquisto di obbligazioni di queste banche sulle quali via Nazionale non aveva mai avuto nulla da dire e dunque i clienti e il mercato vi facevano pieno affidamento.

Nonostante tutto questo cataclisma, fino a ieri mattina i bookmakers davano Visco ben saldo. Certo, Renzi e Boschi si aspettavano da Bankitalia ben altra copertura su vicende che hanno minato la credibilità del governo e persino la famiglia dell’ex ministro delle riforme. A guardare le spalle a governatore c’era però Mattarella e dunque il nuovo mandato sembrava cosa fatta. Che qualcosa non stava andando per il verso giusto si è però iniziato a capire venerdì scorso, quando il Consiglio dei ministri che avrebbe potuto chiudere la partita non ha affrontato il tema delle nomine, mettendo nello stesso calderone anche la presidenza della Consob, l’Autorità che vigila sui mercati finanziri. Serviva dunque una spallata e ieri con la mozione del Pd che impegna il governo a non confermare Visco la vendetta di chi dalla segreteria controlla il partito si è consumata. Uno strappo che il Quirinale ha fatto subito sapere di non aver gradito, rilasciando alle agenzie una laconica dichiarazione sulla necessità di tutelare gli interessi del Paese. Come se un governatore che resta per anni con le mani in mano serva a qualcosa. Così il Pd ha giocato la sua carta, che da oggi presenterà come prova provata di aver preso le distanze dal disastro delle banche. Una prova falsa come una moneta da tre euro.