Basta banche, così la Fondazione Roma vola

di Monica Setta

Le Fondazioni di origine bancaria, nella maggior parte dei casi, detengono un ruolo di primo piano nel panorama creditizio nazionale, e rappresentano spesso soggetti fondamentali a sostegno della filantropia e delle attività propedeutiche allo sviluppo del territorio di riferimento, sostituendosi, nella maggior parte dei casi, alle carenze ormai endemiche del settore pubblico.
In tempo di approvazione dei bilanci d’esercizio, è possibile farsi un’idea esaustiva del panorama delle più importanti tra le 88 Fondazioni italiane, tra le quali spicca – per peculiarità ed eccellenza – la Fondazione Roma presieduta dal Prof. Avv. Emmanuele F. M. Emanuele.
Essa rappresenta un caso di specie in quanto è uscita già da tempo dall’ACRI (la potente Associazione nazionale che riunisce praticamente la totalità delle Casse di Risparmio e Fondazioni bancarie) e, in aggiunta, è l’unica tra le grandi ad aver alienato pressoché integralmente la partecipazione nella banca conferitaria (attualmente, detiene lo 0,47% delle azioni Unicredit). Una scelta premiante, come dimostrano le classifiche che la vedono attestarsi in posizioni di tutto rispetto per quanto riguarda le due voci più rappresentative di bilancio: Patrimonio Netto e Risultato d’Esercizio.

Tali graduatorie, giova premetterlo, sono state predisposte, ricavando dai bilanci di esercizio al 31 dicembre 2012 e dalle relative note integrative, le informazioni necessarie a rappresentare in maniera più trasparente le due grandezze caratteristiche delle Fondazioni bancarie, cioè a dire la valutazione degli assets e la valutazione della banca conferitaria. Non sempre, infatti, nei bilanci ufficiali tali grandezze risultano omogenee. Spesso i valori della banca conferitaria non sono stati oggetto di svalutazioni conseguenti alle minusvalenze oramai conclamate dovute all’andamento dei mercati. D’altro canto gli assets che dovrebbero dare i proventi, sono spesso valutati con criteri a dir poco non omogenei; alcune Fondazioni utilizzano il criterio del costo storico, altre il valore di mercato (all’interno del quale ci si industria per individuare quale tra i criteri di “mercato” sia più vicino alle esigenze contingenti di bilancio), altre ancora si avvalgono della possibilità di utilizzare la deroga del D.L. 185/2008, che consente di mantenere in bilancio gli stessi valori dell’esercizio precedente. Tutto ciò è dovuto, essenzialmente, alla “elasticità” dei criteri di valutazione utilizzati.
Ecco dunque che, per quanto concerne il primo dato (Solidità patrimoniale), la Fondazione Roma – se si tiene conto, come detto, delle minusvalenze sulle azioni della banca conferitaria, già da tempo riflessa nel bilancio della Fondazione Roma e non riflesse invece nei bilanci di gran parte delle Fondazioni – è quarta dopo le maggiori azioniste della prima banca per numero di sportelli in Italia (Intesa San Paolo), ovvero la Fondazione Cariplo di Milano e la Compagnia S. Paolo di Torino, seguite dalla Cassa di Risparmio di Torino.

Appare dunque oltremodo singolare che i bilanci non riflettano le minusvalenze delle banche conferitarie, se si tiene conto che le stesse minusvalenze sono pari a circa € 5 Miliardi e rappresentano il 20% dei patrimoni netti complessivi (e parliamo soltanto delle prime dieci in classifica). Figuriamoci se le minusvalenze di cui parliamo dovessero essere riflesse nei conti economici delle Fondazioni, anziché essere portate in diretta diminuzione del patrimonio netto (come consentito dalla normativa di settore). Staremmo parlando di una debacle di dimensioni devastanti. Cinque miliardi di euro corrispondono ad una manovra di medie dimensioni sul bilancio dello stato. Come detto, fa eccezione in questo triste scenario la Fondazione Roma, che ha effettivamente svalutato la partecipazione nella banca conferitaria allineandola sostanzialmente al valore di mercato e dunque attestandosi su una posizione di assoluta trasparenza.
Per quanto riguarda l’Avanzo (Risultato di esercizio), se le minusvalenze sugli altri assets fossero state riflesse nei bilanci delle Fondazioni, la graduatoria subirebbe delle interessanti modifiche, soprattutto nella seconda parte. La Fondazione Roma risulterebbe infatti al quinto posto, mentre la Cassa di Risparmio di Torino scenderebbe all’ottavo.

Ponendo poi in rapporto tra loro i due indici primari della Solidità patrimoniale e del Risultato di esercizio, si ottiene un altro indice, il cosiddetto ROE (ovvero, la Redditività del patrimonio) delle Fondazioni: questo dato vede la Fondazione Roma attestarsi al quarto posto con un considerevole 2,5%, laddove le Casse di Risparmio di Verona e Torino si trovano, rispettivamente, al 4° e 8° gradino della classifica mentre Lucca e Cuneo addirittura riportano un valore di segno negativo.
Un ulteriore indice tipico della mission delle Fondazioni di origine bancaria è quello relativo alla disponibilità erogativa delle stesse, in quanto trattasi di un dato che rappresenta l’effettiva capacità di devoluzione a carattere sociale sul territorio di riferimento. Tale disponibilità si rinviene, nei bilanci d’esercizio, alle voci “Fondi per l’attività dell’istituto nei settori rilevanti” e “Erogazioni deliberate”. Si tratta di un indice di particolare rilevanza per il mondo delle Fondazioni, in quanto mette in evidenza la somma tra l’accantonato ai fondi per l’attività istituzionale e le erogazioni deliberate, ovvero gli impegni complessivamente assunti: qui la Fondazione Roma è al sesto posto.
In conclusione, da una ri-lettura dei bilanci delle prime dieci Fondazioni di Origine bancaria, opportunamente rivisitati in un’ottica che renda i dati in essi contenuti più rispondenti ai sopracitati criteri, emerge una consistenza patrimoniale ed una attitudine ad operare sul territorio, significativamente differente rispetto a quella che si osserva da una lettura asettica dei dati di bilancio. Nella “top ten” spiccano, sempre e comunque, le Fondazioni del Nord Italia, con l’unica felice eccezione della Fondazione Roma, la quale – val la pena di rimarcarlo – nei confronti delle stesse ha un patrimonio originario molto più contenuto, ma che dimostra in maniera eclatante che si può operare bene e con successo senza continuare a finanziarsi con i dividendi delle banche.