Basta coi vecchi cliché. Per le donne la vera vittoria resta sempre il merito. Le quote rosa sono soltanto un alibi. Chi ha le capacità alla fine emerge

Bello vedere una giovane donna, Sanna Marin, a guidare la Finlandia, bello che una donna, Marta Cartabia, sia stata eletta al vertice della Corte Costituzionale. Meno bello che quest’ultima abbia esordito subito dopo la sua elezione con “Si è rotto un vetro di cristallo Ho l’onore di essere un’apripista”. La metafora del soffitto di cristallo è stata coniata dal movimento femminista in riferimento a presunte barriere sociali, culturali e psicologiche che impedirebbero il raggiungimento di carriere di alto livello per le donne, descritte come “qualcosa che non avrebbe potuto essere trovato in qualsiasi manuale aziendale o addirittura discusso in una riunione di lavoro, ma per mantenere le posizioni di leadership di livello esecutivo nelle mani dei maschi caucasici”.

Maschi caucasici, altra tipica espressione ascrivibile alla retorica femminista. Ora, non c’è bisogno di dati o esempi pratici per capire che per le donne è più difficile fare carriera, che esiste il fenomeno del gender gap – cioè in molti casi a parità di mansione e ruolo le donne guadagnano meno dei loro colleghi uomini-, che poche arrivano nelle stanze dei bottoni e se ci sono arrivate hanno dovuto dimostrare il doppio, studiare, specializzarsi, lavorare, sfatare degli stereotipi. Nessuno nega che per una certa mentalità maschilista e retrograda dura a morire una donna bella o è stupida o se raggiunge una posizione di rilievo avrà sicuramente concesso le proprie grazie al potente di turno.

Del resto c’è chi ha scritto in questi giorni che Nilde Iotti (nella foto) era “una bella emiliana simpatica e prosperosa, grande in cucina e a letto”. Una summa spregevole di luoghi comuni sulle emiliane, sulle donne “angeli del focolare” e, appunto, sul famigerato do ut des basato su favori sessuali. Ma che sia Cartabia a cadere nel tranello è altrettanto inopportuno: che siano i giornali a titolare banalmente il fatto che sia una donna è un conto, che a rimarcarlo sia lei un altro: non ne ha bisogno. La giudice non è stata eletta presidente della Consulta “in quanto donna” ma in quanto meritevole, e il merito non è legato al genere o alle quote rosa – altra aberrazione, dovremmo forse sentirci vincenti per una legge che consente alle donne di entrare in un recinto protetto che viene chiamato “quote rosa”? Significa che le competenze femminili sono talmente messe in discussione da dover essere addirittura imposte per legge?

Cartabia è professore ordinario di Diritto costituzionale, è giudice della Consulta dal settembre 2011, dove ha redatto 171 decisioni e di cui è stata vice presidente dal novembre 2014. La sua carriera accademica è stata segnata sin dagli esordi da un’intensa attività di ricerca in ambito costituzionalistico con uno spiccato respiro europeo ed internazionale, il suo curriculum parla per lei. La vera parità sarà raggiunta quando non ci sarà più bisogno di rimarcare che si è donne, perché questo è davvero lesivo dell’intelligenza e della professionalità. Prima che donne o uomini siamo singole persone, ciascuna con le proprie capacità.