Basta con l’unanimità. Ora le regole europee adesso vanno riscritte. Sul Recovery Fund mostrati i limiti del potere di veto: se non si cambia l’Olanda farà scuola

Le estenuanti trattative di questi ultimi giorni (e notti) a Bruxelles, il logoramento di nervi, l’inevitabile stallo alimentato da veti, controveti e pretese assurde riconducono sempre a lui. Al premier olandese Mark Rutte, “re” del rigorismo al limite dell’assurdo, autoproclamatosi portavoce e mentore dei paesi cosiddetti “frugali” (pare lo sia anche nella sua vita privata, un maniaco del controllo). L’Olanda, 17 milioni di abitanti, un’estensione geografica di 41.543 km quadrati (pari a due regioni italiane, per intenderci), sempre bene ricordarlo, concorre ai 13.484 miliardi di euro di Pil aggregato dell’Ue con 774 miliardi (il 5,74% del totale). L’Italia, per contro, ha registrato nel 2019 un Pil di 1.766 miliardi (l’13,1% del totale Ue) pari a 2,28 volte quello olandese. Già questo basterebbe a valutare come sia folle la pretesa di dettare legge e di tenere sotto scacco quasi 450 milioni di cittadini europei e metta a rischio la tenuta stessa dell’Unione, tanto più se si considera che il fronte dei nove schierato contro i frugali nel negoziato per portare a casa un piano di ripresa post pandemia adeguato (non solo sulla carta) comprende, oltre che l’Italia, anche Francia e Spagna e tutto il fronte del sud. E una Germania decisamente “dialogante” con esso per la prima volta dopo anni di politiche votate all’austerità. Per non parlare del fatto che l’Olanda, insieme all’Irlanda e al Lussemburgo sono veri e propri paradisi fiscali all’interno dell’eurozona, che attuano pratiche fiscali aggressive che danneggiano le economie degli altri Stati membri e che, anche grazie a queste pratiche, registrano elevatissimi tassi di crescita. A discapito degli altri con una concorrenza sleale.

Come illustrato lo scorso 2 luglio in un’audizione alla Camera dal Presidente dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato Roberto Rustichelli, alcune ricerche stimano che, a causa del dumping fiscale a livello europeo,  il fisco italiano perde la possibilità di tassare oltre 23 miliardi di dollari di profitti, di cui 3, 5 vengono spostati proprio in Olanda. Delle serpi in seno insomma. Eppure sono quelli che più si oppongono alla concessione di risorse a fondo perduto all’Italia e agli altri paesi attraverso le risorse del Recovery Fund.  Ma non solo, un altro motivo di scontro riguarda chi dovrà approvare e monitorare i programmi di riforme che i Paesi presenteranno per l’accesso al fondo Ue. Il prode Rutte si è intestardito affinché l’ultima parola resti al Consiglio Ue, pretendendo in particolare che il voto sul Recovery avvenga all’unanimità. In altre parole, basta che le riforme progettate non siano gradite a uno solo di tutti i 27 (a chi in particolare appare evidente…) e si chiude istantaneamente il rubinetto dei sussidi, un potere di veto che ogni singolo Paese può esercitare sui piani di riforma altrui: un modo in pratica per rendere lo strumento inutilizzabile. Una proposta chiaramente irricevibile, da più parti gli è stato spiegato che la base legale usata per il Recovery fund è la stessa della “politica di coesione”, e perciò non prevede l’unanimità. Lo presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, ha proposto che fosse Commissione a formulare una valutazione che poi venisse votata dal Consiglio maggioranza qualificata. Così come auspicato anche dal premier Giuseppe Conte, che ha definito sin dalla vigilia del summit quella di Rutte una proposta “inaccettabile”. “La richiesta dell’Olanda di far approvare all’unanimità il piano di ciascun Paese che vuole accedere al next generation Ue non mi pare in linea con le regole europee”, ha ribadito anche ieri Conte, aggiungendo: “Non è una partita contabile, la posta in gioco è l’Europa, non solo una pronta ripresa ma la leadership e la competitività dell’Unione europea nel mondo globale”. L’Italia non cede ai ricatti.