Basta porte girevoli per gli 007. Fermi 3 anni dopo l’addio ai Servizi. Stretta sulle incompatibilità per i capi dell’intelligence. Non potranno neppure lavorare con società estere

Stretta sulle incompatibilità per i capi dei Servizi segreti. Non potranno neppure lavorare con società estere.

Chi è stato capo degli 007 non può, per i tre anni successivi alla conclusione del mandato, lavorare con “soggetti esteri” e anche, se da questi ultimi influenzati, con privati italiani. Lo ha stabilito con un decreto, pubblicato ieri in Gazzetta ufficiale, il premier Mario Draghi. Un intervento sul fronte delle incompatibilità a cui il Governo lavorava da tempo e che arriva dopo che il direttore del Dis, Elisabetta Belloni (nella foto), è stata tra i papabili alla carica di Presidente della Repubblica prima che il Parlamento decidesse per il bis di Sergio Mattarella.

LA NOVITÀ. Chi è al vertice delle agenzie di intelligence acquisisce informazioni delicate ed è depositario di segreti da cui dipende la sicurezza nazionale. Lasciare quelle poltrone e poi sedersi subito su altre di aziende estere o collegate con l’estero è qualcosa di più che un tema di inopportunità. Palazzo Chigi ha cercato una soluzione e, ottenuto il via libera del Copasir, è stato pubblicato il decreto. Un divieto che vale per i capi dei servizi segreti, i loro vice e pure per i dirigenti di prima fascia. Al provvedimento hanno lavorato la stessa Belloni e l’Autorità delegata, Franco Gabrielli.

L’obiettivo dichiarato è stato quello di “limitare il rischio di un possibile pregiudizio alla tutela del patrimonio informativo acquisito durante l’espletamento dell’incarico, ovvero alla sicurezza nazionale, che possa derivare all’instaurazione di rapporti lavorativi, professionali o di consulenza, nonché dall’assunzione di cariche, presso soggetti esteri o a questi riconducibili”. Nei tre anni successivi alla cessazione del loro incarico, i capi degli 007 non potranno così “svolgere attività lavorativa, professionale o consulenziale, ovvero ricoprire cariche presso i soggetti esteri, pubblici o privati”.

Una misura estesa a coloro che “abbiano svolto incarichi dirigenziali di prima fascia di preposizione a strutture organizzative di livello dirigenziale generale”. L’incompatibilità riguarda inoltre i privati italiani che operano nei settori della difesa e della sicurezza nazionale, nonché per le attività di rilevanza strategica nei settori dell’energia, dei trasporti e delle comunicazioni, “qualora l’influenza da parte dei soggetti esteri sia tale da poter porre un pregiudizio alla tutela del patrimonio informativo acquisito durante l’espletamento del mandato, ovvero possa costituire altrimenti un rischio per la sicurezza nazionale”.

IL CASO. In passato l’ex direttore del Dis, Giampiero Massolo, è diventato presidente di Fincantieri, Luciano Carta, che ha ricoperto lo stesso ruolo all’Aise, presidente di Leonardo, e Alessandro Pansa, con un passato al vertice del Dis, presidente di Telecom Sparkle, ma si tratta di società strategiche per l’Italia controllate dallo Stato. C’è stato però anche chi, come l’ex direttore dell’Aise, Alberto Manenti, ha avuto incarichi di consulenza dal Marco Polo Council, think tank che annovererebbe tra i suoi finanziatori il fondo sovrano degli Emirati Arabi Uniti.

E sempre lo stesso Manenti, come emerso dalle carte dell’inchiesta Open, in dieci mesi ha incassato 354mila euro da una srl “di recente costituzione”, la Mpc, che per l’Unità d’informazione finanziaria è una società beneficiaria di alcuni bonifici sempre dagli Emirati Arabi d’importo rilevante, “non sempre adeguatamente giustificati”. Ora alle porte girevoli è stato messo un freno e per i vertici delle agenzie d’intelligence trovare nuovi prestigiosi incarichi una volta lasciato il loro ruolo all’interno degli 007 diventa più difficile.