Berlusconi a sorpresa non si presenta al vertice del Centrodestra. Ma vuole imporre lui il nome per il Quirinale. Avanza così la candidatura di Draghi

Silvio Berlusconi resta ad Arcore e fa saltare il vertice del Centrodestra fissato per oggi a Roma, meditando una possibile exit strategy.

Siamo già al “C’eravamo tanto amati”. Mentre Silvio Berlusconi resta ad Arcore e fa saltare il vertice del Centrodestra fissato per oggi, meditando una possibile exit strategy, Matteo Salvini e Giorgia Meloni duellano per diventare protagonisti dell’elezione del prossimo Presidente della Repubblica. L’alleanza di centrodestra si sbriciola quindi al primo vero appuntamento per decidere la strategia. Il clima è quello dei veleni incrociati, malcelati dalle dichiarazioni di compattezza e dalle photo opportunity.

ALTRI PIANI. Avanza così la candidatura di Mario Draghi, che stando immobile sfrutta le titubanze e gli incartamenti altrui. E alle sue spalle si staglia, più solida, l’ipotesi di chiedere un sacrificio a Sergio Mattarella per un bis. Per capire il contesto, è stato rinviato al fine settimana il summit tra gli alleati: era l’appuntamento decisivo, quello sulla ricognizione dei numeri di Berlusconi per la corsa al Quirinale. Ma Matteo Salvini e Giorgia Meloni non hanno ricevuto l’invito per l’appuntamento. Il pallottoliere berlusconiano è fermo, anzi inizia a decrescere. Il diretto interessato preferisce temporeggiare. Nella giornata di ieri, secondo quanto apprende La Notizia, Vittorio Sgarbi ha fatto un secondo ciclo di telefonate per parlare con i grandi elettori, alcuni deputati del Misto, già contattati in precedenza. Un tentativo di approfondire le loro intenzioni in merito alle votazioni.

MAGRO BOTTINO. Ma la caccia ai potenziali indecisi non ha ottenuto l’esito sperato. L’operazione scoiattolo ha i denti spuntati: è sempre più complicato rosicchiare le preferenze necessarie a raggiungere la fatidica soglia di 505. A questo punto nell’inner circle del numero uno forzista si iniziano a vagliare le opzioni per un’uscita di scena che possa apparire una vittoria. Il ragionamento, che circola tra i parlamentari azzurri, è che il leader, appurato la mancanza di numeri, diventi l’uomo decisivo per l’elezione del Capo dello Stato. Il famigerato kingmaker. Magari con l’auspicio implicito di ricevere in cambio la grande riabilitazione: la nomina a senatore a vita. Per realizzare la strategia serve un tempismo perfetto. Chi conosce bene l’ex presidente del Consiglio, indica un possibile timing per avvicinarsi al magico numero di 505 e ritirarsi, raccontando poi di volerlo fare in segno di pacificazione nazionale. A quel punto gli unici nomi che vuole mettere in campo sono quelli di Draghi o di Mattarella.

ONOREVOLE RITIRATA. Berlusconi, da rinuciatario alla corsa, pretenderà la golden share, il potere decisionale. E le ragioni sono due: non ha intenzione di farsi scavalcare dal Franco Frattini di turno o, peggio, da un profilo come Giulio Tremonti, con cui peraltro i rapporti nel tempo si sono deteriorati; né tantomeno vuole lasciare spazio agli alleati dopo averne testato l’insoddisfacente lealtà. I giovani leader Meloni e Salvini, però, si agitano per ritagliarsi uno spazio. Da un lato promettono di non voler mollare Berlusconi, dall’altro tracciano già l’identikit di altri candidati. Dalla Moratti alla Casellati. Finanche Pera. “FdI è pronta a formulare le sue proposte per concorrere a costruire una convergenza più ampia su personalità autorevoli nel campo culturale del centrodestra, che hanno tutte le caratteristiche per ricoprire l’incarico”, ha dichiarato Meloni. Quasi una replica a Salvini che ha parlato di un “alto profilo” tale da ottenere la convergenza del centrosinistra. Come se Silvio già non fosse più in campo.

Leggi anche: Salta ancora il processo Ruby. I legali di Berlusconi ottengono un nuovo rinvio al 16 febbraio. Ora c’è la pandemia ma soprattutto l’elezione del capo dello Stato.