Bindi compatta il Pdl. Brunetta minaccia: vada via o è guerriglia

di Lapo Mazzei

Diciamo la verità, gli si può  rinfacciare tutto fuorché la mancanza di fantasia. Perché riuscire a trovare, sempre e comunque, la giusta chiave per interpretare il ruolo che gli è stato assegnato da Silvio Berlusconi, kamikaze senza cintura esplosiva,  non è facile. Anzi, bisogna avere un certo talento. Certo, a dare una mano al presidente dei deputati del Pdl Renato Brunetta contribuisce non poco l’ala renziana del Pd, vero alleato occulto dell’ala lealista del Pdl. Perché c’è voluto davvero un grande coraggio, oppure una lucida follia, nel nominare Rosi Bindy alla presidenza della commissione Antimafia. Data la nota esperienza dell’esponente del Pd in materia di criminalità organizzata, viene da propendere per la seconda ipotesi. Con un’aggravante. Chi l‘ha votata non voleva fare certo un favore al presidente del Consiglio. Al quale ora tocca disinnescare la bomba ad orologeria piazzata da Brunetta sotto le larghe intese da Brunetta. “In Commissione antimafia è successo uno strappo intollerabile”, afferma l’ex ministro. “Chi lo ha portato avanti rifletta e su questo il Pdl è unito come un sol uomo: o la Bindi si dimette o sarà guerriglia su tutto”. E siccome la dichiarazione di guerra è stata consegnata al governo al termine del vertice fra l’esecutivo e la maggioranza sulla questione del decreto sulla Pubblica amministrazione, c’è credere che si tratti realmente di atto di belligeranza politica e non di una semplice minaccia. E’ ormai chiaro a tutti che i lealisti del Pdl, ovvero coloro che sono pronti ad immolarsi sull’altare della causa (anzi delle cause processuali) di Silvio Berlusconi, vanno cercando il pretesto giusto per presentare il conto al Pd, mettendo in crisi le larghe intese, consapevoli che i renziani hanno lo stesso idem sentire. Insomma ad una strana maggioranza corrisponde un’altrettanta strana opposizione, assimilabile a un partito dello sfascio finalizzato al voto anticipato. Al di là della legge elettorale.

Data la cornice entro la quale si va giocando questo ennesimo braccio di ferro, proviamo a fare il punto della situazione. “Le cariche istituzionali si decidono insieme, lo strappo dell’Antimafia non può essere tollerato e noi non parteciperemo alle attività dell’Antimafia fino a quando non sarà risolto il problema”, ha sottolineato Brunetta, ribadendo il fatto che l’elezione della Bindi sia avvenuta a maggioranza, violando cosi gli accordi fra gli azionisti delle larghe intese. “Su questa posizione tutto il Pdl è unito come un solo uomo. La Bindi ha fatto il miracolo: ha riunito il Pdl”, ha sottolineato ancora Brunetta. D’accordo, la presidenza di una commissione, anche se pesante come quella dell’Antimafia, ha un relativo peso politico specifico. Conta negli equilibri, più che nella sostanza dell’azione del governo. Davvero, allora, più incidere sugli altri provvedimenti? “Gli strappi hanno dei costi”, ha replicato secco Brunetta. E non solo. Frizioni ci sono state anche tra Brunetta e il ministro Dario Franceschini. “Per noi il decreto sulla Pa può decadere”, avrebbe affermato Brunetta. A quel punto il ministro si è visto costretto a rilanciare: “il quadro è cambiato”, lasciando intendere che c’è un problema politico dentro la maggioranza. “Del Dl sulla Pa non dico nulla, per rispetto. È il contrario della mia riforma e non posso dare un giudizio positivo. Ma sono uomo di istituzioni e rispetto il lavoro del Parlamento” ha chiosato l’esponente del Pdl. Dunque il decreto sulla Pubblica amministrazione rischiava davvero di  arrancare in Aula, nonostante la tagliola dei tempi, visto che scade il 30 ottobre. Il governo, come ha spiegato il ministro Gianpiero D’Alia, voleva evitare l’uso della fiducia perché usato impropriamente per tagliare i tempi. Ma viste le tensioni provocate dal Pdl, a partire da Brunetta, nel governo si è capito che gli ostacoli al via libera al provvedimento non sono solo di merito ma politici dentro la maggioranza. Eppure alla fine il provvedimento è passato lo stesso (208 voti favorevoli, 11 contrari e 76 astenuti) ed è ritornato al Senato. Nel frattempo il Pd prova a prendere tempo, sperando nella definitiva rottura interna al Pdl fra falchi e colombe. “Noi abbiamo espresso una candidatura equilibrata e qualificata per il ruolo di presidente dell’Antimafia” afferma il candidato alla segreteria Pd Gianni Cuperlo. “Abbiamo trovato dall’altra parte un muro contro muro. Mi auguro ora che si riesca a trovare una soluzione”. Che, per ora, non c’è. Anche perché la Bindi più che anti-mafia è una anti-dimissioni. Soprattutto se di mezzo c’è una poltrona.