Blue Whale, folle non allarmarsi. Sfide impossibili che possono portare al suicidio. La legge sul cyberbullismo da sola serve a poco

Dilaga il fenomeno Blue Whale. La sfida virtuale che da game nato su un social network in Russia è divenuta "spauracchio" reale anche in Italia

Appena entrata in vigore la legge sulla “Prevenzione e contrasto al cyberbullismo tra i minori” (prima normativa sull’argomento) si profilano già ostacoli e difficoltà alla sua realizzazione. Nell’ordine: esiguità delle risorse economiche assegnate per l’applicazione della norma (200mila euro l’anno), incertezza sull’istanza di rimozione del contenuto incriminato segnalato dal minorenne (rivolta al titolare del sito web e non al motore di ricerca), fino alla mancanza di misure sul deep web, la parte nascosta e anonima di internet frequentata da hacker, spacciatori, persuasori occulti che spingono proprio i ragazzi, nella fase più trasgressiva della loro vita, ad una ossessiva e curiosa ricerca. Ma al di là dell’efficacia o meno della legge, bisogna riconoscere che questa sta spingendo ad indagare e conoscere meglio i silenziosi fruitori del mondo digitale, gli adolescenti, appartati sempre più in una dimensione virtuale dove adulti indifferenti ed incapaci li hanno relegati.

“La legge che abbiamo approvato è un primo passo, ma è un passo importante perché dimostriamo in questo modo di non lasciare soli i nostri giovani”, ha detto la Presidente della Camera, Laura Boldrini. “I giovani si ritrovano nel web troppo presto e senza aver ricevuto le dovute cautele”, parola di Antonio Martusciello (Agcom). E ancora Marcello Cardani (Agcom): “bisogna insegnare ai ragazzi che il computer è uno strumento fantastico ma dobbiamo educarli ad una etica dell’uso… noi insegniamo invece solo l’uso della tastiera e del software”.

Ad accelerare la riflessione sull’impreparazione culturale del nostro Paese alla rete e più in generale ai mezzi di informazione (tv e giornali), è stato il fenomeno Blue Whale, la sfida virtuale che da  game nato su un social network in Russia è divenuta “spauracchio” reale anche in Italia. Da semplice notizia di nicchia amplificata da un servizio televisivo delle Iene del 15 maggio scorso, il fenomeno è diventato un evento mediatico positivo per molti giovani, parallelamente a una presa di coscienza tra gli adulti sfociata in un eccesso di allarmismo. L’immaginario collettivo si è appropriato del fenomeno e si sono moltiplicati dibattiti  sui mass media con psicologi, giornalisti, politici ed esperti internauti. Consulti che hanno certificato una generale sensazione di inadeguatezza degli adulti nel far fronte alle capacità tecnologiche dei ragazzi, reputati più bravi nell’uso dei nuovi dispositivi  e quindi capaci di  districarsi da soli nella rete. Ecco da soli. “La solitudine di una generazione di adolescenti, costantemente connessa su social network, App, chat di messaggistica istantanea crea solo una serie di giovani vulnerabili, carichi di conflitti ed insicurezze” ha ricordato la psicologa Maria Cristina Passanante. Curiosità, fragilità emotiva tipica dell’età adolescenziale, senso di emulazione e trasgressione, non conoscenza dei pericoli nascosti, tante ore trascorse online senza controllo, per forza di cose rendono i nostri adolescenti più vulnerabili, condizionabili e plagiabili. “I nostri ragazzi sono alla disperata ricerca di compagnia, insicuri perché circondati da adulti insicuri”, si è letto sui giornali di questi giorni. “Da anni stiamo trasmettendo ai nostri figli l’assenza di un futuro – ha scritto lo psicoterapeuta Matteo Lancini – e ci sono ragazzi che di fronte alla mancanza di prospettive preferiscono sparire dalla scena che sia con il gioco della Balena blu (sfide impossibili che portano al suicidio) o con un selfie estremo davanti al treno in corsa”.

“Attraverso l’autolesionismo – ha spiegato meglio la Passanante – spesso i ragazzi manifestano forti disagi e sofferenze della vita”. “Un adolescente che fa azioni lesive si sente estremamente solo ed invisibile agli occhi degli altri. Dei genitori per prima cosa, distratti o troppo presi dal lavoro o dal bisogno di vivere la loro vita per accorgersi del dolore del figlio. E quindi il ragazzino tenta di sentirsi esistere tramite il bruciore della ferita, cercando anche di lanciare un segnale di allarme”. Segnali che talvolta diventano tragici in un mondo reale che non sa decifrare i codici dei giovani immersi nel loro mondo virtuale.