Cambiare le facce e poi i costumi. Da Cassa depositi e prestiti a Ferrovie e Rai. Si volta pagina sul serio

Il Paese ha scelto chiaramente la strada del cambiamento. Per spezzare i circoli di potere si pesca tra giovani e seconde linee.

Il Paese ha scelto chiaramente la strada del cambiamento, ma quando si comincia a cambiare qualcosa sul serio tornano di moda le comode certezze del mondo antico. Guardiamo le prime scelte fatte dal Governo gialloverde. In molti casi Cinque Stelle e Lega si sono trovati di fronte a manager, funzionari pubblici e dirigenti distanti dalla scadenza del loro mandato. Personaggi che non è possibile mettere alla porta se non al prezzo di costosi indennizzi a carico dei cittadini. Perciò aprendo i giornali il premier, Di Maio e Salvini devono incrociare le dita ogni mattina, sperando di non trovarci il solito allarmismo del presidente dell’Inps Boeri o l’inghippo di qualche super burocrate del ministero dell’Economia. Serve dunque pazienza, e in certi casi ne serve moltissima.

Pensiamo solo al vertice di Palazzo Chigi in cui è stato chiesto agli amministratori delegati dei grandi gruppi partecipati dallo Stato di dare una mano all’Esecutivo e al Paese aumentando subito le assunzioni e gli investimenti. Di fronte a Conte e ai suoi ministri c’erano personaggi come il presidente della Finmeccanica Leonardo, Giovanni De Gennaro, già a capo della polizia all’epoca degli abusi al G8 di Genova, o l’Ad della stessa società, Alessandro Profumo, uno dei banchieri emblematici di quel sistema finanziario che soprattutto i Cinque Stelle hanno sempre contrastato. Per non parlare dell’Ad dell’Enel, Francesco Starace, in cerca con ogni mezzo di far dimenticare al Movimento che in quel ruolo ce l’ha messo Renzi. Uno sforzo per il quale ha organizzato (e strapagato) un circuito della Formula Uno delle auto elettriche all’Eur. Un Governo del cambiamento quanto può fidarsi di una vera collaborazione da signori di questo genere? Bisogna dunque girare pagina, e per far questo soprattutto i grillini stanno pescando nomi del tutto nuovi, spesso seconde linee nelle loro aziende, con tutti i vantaggi e gli svantaggi che questo comporta. In molte parti del mondo questo è un fatto normale, ma qui è uno shock, perché la politica, la società, il linguaggio possono scardinare stereotipi e luoghi comuni, ma il pensiero di chi accede alle stanze dei bottoni resta mainstream, e questo turnover dove entrano per la prima volta soggetti estranei ai carri del potere mette inquietudine. Gli esempi in tal senso sono già molti, nonostante il Governo sia in sella da pochi mesi e molte caselle siano per il momento bloccate. Chi non ricorda i commenti del giorno dopo la nomina a sorpresa di Fabrizio Palermo alla guida della Cassa Depositi e Prestiti.

NOTABILI IN TRINCEA – Con i suoi 47 anni il manager è stato considerato troppo giovane e inesperto, e in effetti non c’è dubbio che lo sia se lo si mette a confronto con i vecchi padroni del Paese, dal presidente dell’associazione delle Fondazioni bancarie, l’84enne Giuseppe Guzzetti, al presidente dell’Abi, Antonio Patuelli, da solo 25 anni al comando dell’associazione delle banche italiane. Diffidenza, meraviglia e scommesse che non sarà all’altezza del suo compito sentite anche per Giuseppe Carboni, 57 anni, mai stato direttore di niente perché tutti i giorni al lavoro sulle notizie (articolo che molti blasonati direttori non bazzicano più da anni, impegnati come sono a fare lobby, scrivere libri, andare a cene e incontrare politici). Chi ne ha sentite di ogni tipo è anche il nuovo amministratore delegato delle Ferrovie, Gianfranco Battisti.

Arrivato dopo i manager renziani come Mazzoncini (proveniente dal mondo dei bus) e Moretti (ex sindacalista Cgil in carriera, condannato per la strage di Viareggio), il responsabile delle Fs non avrebbe dovuto toccare palla. Invece in poche settimane sta rivoluzionando il suo comparto, osando dove i riveriti amministratori di prima non avevano mai provato a spingersi. Il cambiamento, d’altra parte, è anche questo, prendendosi rischi certo, ma esplorando strade nuove. Nella convinzione che pochi disastri potranno essere più grandi di quelli che abbiamo ereditato. In questa scia la “rivoluzione” più inquietante è la presentazione dei curriculum. Non che poi la scelta si cristallizzi su chi ha più esperienza, perché è sacrosanto che un Governo punti su chi sente più in sintonia con i propri obiettivi e gli impegni presi con gli elettori. Ma il solo fatto di doversi mettere sullo stesso piano di tutti gli altri pretendenti a un Cda o a una qualunque carica ha già fatto scappare tanti baroni, capaci di spuntarla giusto nelle segrete stanze, a suon di raccomandazioni e scambi di potere.

PIÙ TRASPERENZA – Di qui lo scandalo dei bandi pubblici in cui tutti possiamo sapere chi concorre. Lo abbiamo visto per il Cda della Rai, o per la delicatissima poltrona di direttore generale dell’Aifa, l’Agenzia nazionale del farmaco. In questo modo l’Italia sta cambiando manovratori, mettendo in panchina un sistema antico e autoreferenziale, rimasto per decenni al comando grazie a un’abilità tutta italiana: quella del salto sul carro del vincitore. Un rischio di cui M5S e Lega sono consapevoli, e che ha già portato a qualche errore, in qualche caso anche madornale, come è stato per il presidente dell’Acea Lanzalone. È anche questo il prezzo del cambiamento, così come lo sono gli errori di inesperienza che possono fare i molti deputati e senatori di prima nomina infilati in commissioni parlamentari complesse. Docili pecorelle per i vecchi marpioni dei Palazzi, fin quando le pecorelle quei marpioni li fanno fuori. O ne finiscono divorate.