Antonio Decaro ha scelto la via più netta: “Se in lista ci sono Emiliano e Vendola, io non corro”. È il punto fermo del 14 agosto e vale più di un annuncio: l’eurodeputato del Pd condiziona la sua discesa in campo a una discontinuità reale, nelle facce e nel racconto. Non pretende primarie o bilancini, pretende di chiudere la stagione degli ex presidenti in lista. È un messaggio a tutto l’arco della coalizione, dal Pd pugliese ad Avs fino al Movimento 5 Stelle.
Dalle inchieste alle regole: come ci siamo arrivati
Per capire la rigidità della condizione bisogna riavvolgere il nastro. A febbraio il Viminale ha archiviato l’ipotesi di scioglimento per mafia del Comune di Bari: niente commissariamento dell’aula consiliare, ma una ferita politica che la destra continuerà a esibire. A luglio la Consulta ha poi bocciato la “norma anti-sindaci” che anticipava le dimissioni per chi volesse candidarsi alle Regionali: regola incostituzionale, fine dei giochi. Due passaggi che hanno spostato il terreno sotto i piedi dei protagonisti e reso più trasparente – e più esposta – la contesa.
Intanto la cornice del voto si è aggiornata: arriva la doppia preferenza di genere, attesa da anni e approvata in primavera tra frizioni di maggioranza. Resta l’impianto a turno unico con premio di maggioranza e la possibilità di voto disgiunto, un meccanismo che spinge naturalmente a coalizioni ampie e ordinate. Traduzione: ogni ambiguità identitaria si paga cara, perché l’elettore può scegliere il presidente e, separatamente, la lista.
I nomi sono il cuore della crisi. Michele Emiliano ha ribadito la volontà di candidarsi da consigliere regionale, forte della rete costruita in due mandati e di una presenza pervasiva sul territorio. Nichi Vendola, per Avs, valuta il ritorno come capolista: patrimonio simbolico per la sinistra e al tempo stesso fattore polarizzante. Qui s’innesta il paletto di Decaro: chiedere discontinuità con in lista i due ex presidenti rischia di trasformare lo slogan del “nuovo corso” in un boomerang comunicativo. Non è un processo alle persone: è la consapevolezza che, nell’elettorale reale, le biografie pesano almeno quanto i programmi.
Campo largo al bivio
Lo sguardo nazionale complica tutto. Giuseppe Conte ha già messo in chiaro che l’alleanza col Pd sta in piedi solo con “discontinuità” verificabile su sanità e nomine: il segnale è politico, non cosmetico. Dentro il Pd, Elly Schlein deve tenere insieme il profilo europeista del suo “front-runner” più forte al Sud e l’inerzia di un gruppo dirigente locale che non vuole scendere dal palco. Francesco Boccia prova a cucire, ma i tavoli delle ultime settimane si sono chiusi senza fumo bianco. Dall’altra parte, il centrodestra fiuta l’occasione e lavora a un profilo “civico” di area imprenditoriale: prova di forza per sfruttare ogni incrinatura avversaria.
Qui la Puglia esce dai confini regionali. È stata il laboratorio in cui il centrosinistra, dal 2005, ha costruito un racconto di governo capace di resistere a più stagioni. Oggi lo stesso laboratorio è un crash test: capire se l’unità valga comunque, col rischio di apparire autoreferenziali, oppure se l’unità debba passare da un sacrificio reale di chi ha guidato fin qui. La scelta non riguarda solo le liste: misura la credibilità del “campo largo” che Schlein e Conte vogliono portare in autunno su altri tavoli, dalla Toscana alle Marche.
Decaro, da presidente della Commissione Ambiente (Envi) dell’Europarlamento, può permettersi di perdere una corsa senza perdere ruolo. È la sua forza e il suo limite: più è forte a Bruxelles, più diventa vulnerabile a Bari se il Pd non scioglie il nodo degli ingombranti. Emiliano e Vendola sanno che la loro presenza sposta voti e pesi interni. Conte sa che una rottura in Puglia diventerebbe un messaggio d’impotenza strategica per il progetto di alternativa nazionale. In mezzo, Schlein è chiamata a trasformare veti incrociati in un profilo politico leggibile: un’operazione che vale il risultato elettorale e, forse, la leadership del campo.
Le prossime mosse diranno se prevarrà l’“unità con discontinuità” – l’unico compromesso capace di salvare la coalizione e chiarire la rotta – oppure l’ennesimo giro di valzer che consegna alla destra una regione contendibile. Per ora resta l’istantanea di un candidato condizionato che indica la porta agli ingombranti, e di due ingombranti che non intendono uscire. È una fotografia crudele ma utile: se il centrosinistra vuole governare la Puglia, prima deve decidere come vuole farsi vedere dai pugliesi. E poi, finalmente, presentarsi.