Caos al concorso per prof di diritto privato

di Giuseppe Salvaggiulo per La Stampa

Che c’azzecca il professor Josè Miguel Embid, ordinario di studi giuridici all’università di Valencia, nella commissione d’esame del concorso nazionale per professore di diritto privato? La domanda nasce spontanea e non per i meriti accademici, ma per una ragione drammaticamente più semplice: non parla italiano. E quindi non può leggere, né tantomeno giudicare, le decine di ponderosi tomi giuridici depositati dai candidati, a meno di inscenare arrampicate linguistiche degne di Totò. Non c’aveva pensato il ministero, non se n’era accorto il Tar Lazio, ma la cosa non è sfuggita al Consiglio di Stato, che con un’ordinanza ha sospeso il concorso.

 

La legge Gelmini, che ha istituito la procedura nazionale di abilitazione per professori universitari, prevede in ogni commissione di valutazione di cinque membri uno studioso straniero, proveniente da un Paese aderente all’Ocse, per evitare che i docenti italiani orientino i risultati sulla base di convenienze domestiche e reciproche. “In tale quadro – scrive il professore di diritto amministrativo Stefano Vinti nel ricorso accolto dal Consiglio di Stato – si deduce l’illegittimità della procedura di individuazione del membro straniero anche per la carenza, sotto altro profilo, dei criteri di selezione individuati, essendo in radice assente il fondamentale requisito della conoscenza della lingua italiana (lingua nella quale sono ovviamente redatte le pubblicazioni dei candidati oltre che l’altra documentazione oggetto di valutazione) che costituisce, sul piano logico prima ancora che giuridico, il presupposto primario per poter esprimere una valutazione che abbia un minimo di credibilità. L’assenza di tale criterio ed il mancato accertamento di tale presupposto si pone in insanabile contrasto con la stessa funzione che, nelle intenzioni del legislatore, la presenza del commissario straniero avrebbe dovuto assicurare, emergendo il concreto rischio che tale soggetto si adegui alle indicazioni fornite dagli altri commissari, sì da rendere la sua presenza superflua quando non pregiudizievole rispetto agli scopi perseguiti”.

Le norme consentono al docente straniero di redigere i giudizi nella sua lingua. E infatti il prof valenciano, nei verbali della commissione, si esprime in spagnolo: “El solicitante tiene….”. E conclude lapidario: “Valoraciòn insuficiente”. Nulla di male, sostiene il ministero, perché “la conoscenza della lingua italiana da parte dei commissari non è prevista dalla legge”. Ma come fa chi non parla italiano, e per giunta insegna una materia diversa da quella del concorso, a giudicare le pubblicazioni in italiano? La commissione d’esame, tra l’altro, è quella che nel diritto amministrativo si definisce “collegio perfetto”: può riunirsi e operare solo con tutti i suoi componenti, per cui anche la mancanza di requisiti e funzionalità da parte di uno solo invalida tutti i giudizi. In realtà, la bocciatura del Consiglio di Stato è ancora più profonda. Tra i cinque motivi di ricorso accolti ce n’è anche uno con portata generale, ben oltre il singolo caso esaminato. Si tratta della censura di illegittimità del regolamento che ha assegnato a tutte le commissioni d’esame poteri discrezionali sui parametri di valutazione degli aspiranti professori. Poteri più ampi rispetto a quelli previsti dalla legge Gelmini e quindi illegittimi.

 

E dunque, se gli altri motivi di illegittimità riguardano solo la selezione di diritto privato, quest’ultimo potrebbe invalidare tutte le decine di procedure di abilitazione universitaria aperte. La decisione del Consiglio di Stato ha valore cautelare, dunque sospende la procedura in attesa che prima il Tar Lazio e poi lo stesso Consiglio di Stato si pronuncino nel merito.