Caos nella Lega, parlamentari senza linea politica. Il leader gode ancora di largo consenso. Ma nella base sale il malumore

Aveva stravinto le Europee, volava nei sondaggi, dettava l’agenda politica e mediatica. Poi arrivò agosto e in una manciata di giorni, dalle famigerata spiaggia del Papeete, Matteo Salvini polverizzava quanto seminato in anni, finendo per mettere all’angolo se stesso e il suo partito senza passare per le agognate urne e gestendo in maniera maldestra, per usare un eufemismo, sia la crisi di governo bis sia questi primi giorni di opposizione.

ALLA DERIVA. Opposizione che, per ammissione degli stessi parlamentari leghisti, manca di direzione. “Non esiste una linea politica, da due giorni ci è stato detto di non partecipare alle commissioni, addirittura di non entrare in aula” si lamenta un deputato che preferisce rimanere anonimo ma che non rappresenta certo una voce isolata. Una sorta di Aventino dunque, ufficialmente in segno di protesta per il caso del reddito di cittadinanza assegnato all’ex terrorista Federica Saraceni, nella realtà dei fatti perché vi è molta incertezza e smarrimento: il disorientamento per esser passati in un batter d’occhio dal Governo ai banchi dell’opposizione ancora è palpabile. E brucia.

La leadership del “Capitano” non è apertamente in discussione, anche perché Salvini riempie le piazze e i sondaggi lo danno vincente nelle imminenti elezioni regionali in Umbria, ma i malumori continuano ad accumularsi. Ultima grana in ordine di tempo l’autorizzazione concessa ieri mattina dalla Giunta per le immunità di Palazzo Madama al sequestro del computer del senatore Armando Siri, ex sottosegretario al Ministero delle Infrastrutture, difeso strenuamente dal leader leghista sin dalle prime battute dell’inchiesta che lo vede coinvolto.

Sempre nella giornata di ieri sono inoltre emerse nuove carte di un’altra vicenda “calda”, quella del Russiagate: la procura di Milano avrebbe decifrato le chat del leghista Gianluca Savoini nelle quali spunta uno screenshot che confermerebbe l’accordo sui 65 milioni di dollari da far arrivare al Carroccio. “Possono fare e pubblicare tutti i disegnini che vogliono” si schernisce Salvini, ma anche nella base, soprattutto al Nord c’è chi comincia a non apprezzare giustificazioni raffazzonate e lo spaesamento, seppur ancora non concretizzato in aperto dissenso, inizia seriamente a serpeggiare fra militanti ed esponenti locali.