Caos sul taglio del debito

Di Stefano Sansonetti

Prima Marco Carrai, fedelissimo renziano della prima ora. Poi Angelo Rughetti, renziano acquisito. Entrambi hanno passato luglio e agosto a chiedere un maxifondo patrimoniale per tagliare il debito pubblico. A seguire, quasi a stroncare le velleità dei primi due, è arrivato Lorenzo Bini Smaghi, fiorentino come Renzi e non soltanto per questo considerato vicino al presidente del consiglio. Infine palazzo Chigi, che ieri ha chiuso il cerchio smentendo l’esistenza di piani straordinari per abbattere il debito. Di sicuro all’interno del “giglio magico” del premier c’è una materia in cui si sta verificando un incredibile “tutti contro tutti”. E pensare che al centro del dibattito non c’è un argomento qualunque, ma l’annosa questione della riduzione del debito, ormai arrivato alla cifra record di 2.168 miliardi di euro. Va bene che l’estate è da sempre il momento migliore per i ballon d’essai, ma il terreno su cui ci si muove è troppo scivoloso per non muoversi con cautela.

Il blocco
Al punto che ieri fonti di palazzo Chigi hanno dovuto smentire l’esistenza di un progetto di intervento straordinario, così come era stato evocato da circa un mese a questa parte. Le stesse fonti, a proposito di alcune ricostruzioni di stampa, sottolineano come “non ci sia in corso alcuna trattativa, né segreta né pubblica, con l’Europa e nessun piano taglia debito. L’Italia farà la sua parte, come più volte ribadito dal premier, rispettando il vincolo del 3% senza aumentare la pressione fiscale”. Per carità, può anche sembrare una smentita di rito. Ma la dice lunga sulla totale confusione di idee con la quale il “giglio magico” sta affrontando il tema. Da ultimo, poco prima dello stop di palazzo Chigi, ci aveva pensato Bini Smaghi dalle colonne del Corriere della sera. L’ex banchiere della Bce, fiorentino, rappresenta un profilo che da tempo viene citato per un possibile ingresso nel governo Renzi. Senza contare che la moglie, Veronica De Romanis, dovrebbe entrare a far parte di quel pool di esperti economici di cui il presidente del consiglio vuole avvalersi a palazzo Chigi. Insomma, tra Bini Smaghi e Renzi sembra esserci un feeling consolidato. Ebbene, ieri l’ex banchiere Bce ha letteralmente stroncato il fondo patrimoniale caldeggiato dai renziani Carrai e Rughetti. I quali, in buona sostanza, avevano proposto la costituzione di un veicolo con dentro beni immobiliari e mobiliari di Stato, le cui quote dovrebbero essere cedute a investitori vari e Bot people. “Chi propone di creare un fondo garantito dal patrimonio pubblico per redimere il debito esistente”, ha scritto ieri Bini Smaghi, “non considera che in questo modo quello stesso debito esistente viene deprezzato rispetto al nuovo, facendo scattare gli stessi problemi nei confronti di chi lo detiene. Le operazioni di riacquisto del debito comportano peraltro il degrado immediato da parte delle agenzie di rating, producendo effetti a catena sugli emittenti pubblici e privati”.

I precedenti
E pensare che quasi lo stesso giorno, intervistato da il Messaggero, il sottosegretario alla semplificazione Angelo Rughetti aveva per l’ennesima volta rilanciato il fondo patrimoniale. “Credo che una delle priorità che dovremo porci da qui a fine anno”, ha argomentato Rughetti, “sia un’operazione da collegare alla legge di Stabilità che contenga un piano a 20 anni per la riduzione del debito con la creazione di un fondo dove immettere il patrimonio pubblico, mobiliare ed immobiliare, e poi cedere il 49 per cento delle quote del fondo stesso”. L’assunto è che “con il solo avanzo primario non ne usciremo mai”. Peccato che proprio l’avanzo primario, ovvero la differenza tra entrate e uscite al netto della spesa per interessi sul debito, sia la ricetta di base rilanciata da Bini Smaghi, il quale sul punto ha scritto che “una riduzione del debito pubblico al 100% del pil non elimina comunque la necessità di raggiungere un surplus primario di bilancio (al netto dei tassi d’interesse), pari a circa il 4% (dal 2,6% previsto per quest’anno)”. Circa un mese fa era stata la volta di Carrai, il quale aveva lanciato l’idea di “un Fondo Patrimonio Italia dove conferire gli asset morti dello Stato per estrarne valore: l’immenso patrimonio immobiliare pubblico, infatti, oggi si può considerare dal punto di vista reddituale patrimonio morto”. Ma sul tema il governo va in ordine sparso. Fino alla smentita di palazzo Chigi. In fin dei conti l’ennesimo pasticcio su un argomento a dir poco cruciale.