Carceri infernali. Detenuto si toglie la vita nel penitenziario di Udine. Prim’ancora nella stessa struttura un ventotenne ha aggredito lo pscichiatra che lo stava visitando

Giornata tragica per il carcere di Udine, ieri al centro di due gravi episodio: il suicidio di un detenuto e l’aggressione allo psichiatra di servizio.

La notizia la fornisce il Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria SAPPE, per voce del Segretario regionale del Friuli Venezia Giulia, Giovanni Altomare, che si dice preoccupato per questi eventi sempre più frequenti nelle carceri: “E’ stata davvero una giornata infernale l’ultimo giorno di luglio nel carcere di Udine. Verso mezzogiorno, un ventottenne friulano con problemi psichici, indagato e detenuto per tentata rapina, ha dapprima aggredito con pugni in faccia lo psichiatra che lo stava visitando nel reparto infermeria del carcere e poi ha tentato di aggredire anche il personale di Polizia Penitenziaria intervenuto prontamente sul posto. Con molta fatica il detenuto è stato immobilizzato, sedato dal personale medico e successivamente condotto presso un luogo esterno di cura. Questa tipologia di persone dovrebbero essere seguiti in strutture esterne idonee, con personale formato. Il carcere di certo non aiuta questi soggetti, anzi gli incattivisce ulteriormente e li rende più violenti”.

“Poi, nel pomeriggio, verso le 18,00 la tragedia”, prosegue Altomare.“Un detenuto transessuale brasiliano di 33 anni, da poche ore arrestato per rapina e condotto in carcere (era uscito dal carcere due giorni prima dopo altrettanti giorni di detenzione), si è tolto la vita impiccandosi con un lenzuolo annodato alla finestra della stanza singola dove era stato ubicato. A nulla è valso, purtroppo, il tentativo di rianimarlo dopo che l’Agente di Polizia Penitenziaria della sezione si è accorto dell’insano gesto. Ancora una volta, va pur detto, con la riduzione degli organici e gli accorpamenti triplicati dei posti di servizio è sempre più difficile attuare una sorveglianza adeguata nelle sezioni detentive. Difatti, l’addetto alla sezione del piano terra, luogo del tragico evento, doveva sorvegliare altre due sezioni detentive più la rotonda del piano e il cortile passeggi. Insomma, contemporaneamente ricopriva cinque posti di servizio. Peraltro, attualmente, il carcere di via Spalato è interessato da due piantonamenti in luoghi esterni di cura che incidono ulteriormente sull’organico di Polizia Penitenziaria”.

Donato Capece, segretario generale del SAPPE, commenta: “Il dato oggettivo è che i tragici eventi accaduti a Udine ci confermano che la tensione che caratterizza le carceri, al di là di ogni buona intenzione, è costante. Le carceri sono più sicure assumendo gli Agenti di Polizia Penitenziaria che mancano, finanziando gli interventi per potenziare i livelli di sicurezza delle carceri. Altro che la vigilanza dinamica, che vorrebbe meno ore i detenuti in cella senza però fare alcunchè. La situazione nelle carceri resta allarmante e non ci si ostini, dunque, a vedere le carceri con l’occhio deformato dalle preconcette impostazioni ideologiche, che vogliono rappresentare una situazione di normalità che non c’è affatto”.

“Negli ultimi 20 anni le donne e gli uomini della Polizia Penitenziaria hanno sventato, nelle carceri del Paese, più di 19mila e 500 tentati suicidied impedito che quasi 138mila atti di autolesionismopotessero avere nefaste conseguenze”, evidenzia ancora Capece. “Purtroppo ieri a Udine il collega non ha fatto in tempo a salvarlo. Questo nuovo drammatico suicidio di un altro detenuto evidenzia come i problemi sociali e umani permangono nei penitenziari, lasciando isolato il personale di Polizia Penitenziaria (che purtroppo non ha potuto impedire il grave evento) a gestire queste situazioni di emergenza. Il suicidio è spesso la causa più comune di morte nelle carceri. Gli istituti penitenziari hanno l’obbligo di preservare la salute e la sicurezza dei detenuti, e l’Italia è certamente all’avanguardia per quanto concerne la normativa finalizzata a prevenire questi gravi eventi critici. Ma il suicidio di un detenuto rappresenta un forte agente stressogeno per il personale di polizia e per gli altri detenuti. Per queste ragioni un programma di prevenzione del suicidio e l’organizzazione di un servizio d’intervento efficace sono misure utili non solo per i detenuti ma anche per l’intero istituto dove questi vengono implementati. E’ proprio in questo contesto che viene affrontato il problema della prevenzione del suicidio nel nostro Paese. Ma ciò non impedisce, purtroppo, che vi siano ristretti che scelgano liberamente di togliersi la vita durante la detenzione”.

“La situazione delle carceri si è notevolmente aggravata rispetto agli anni precedenti, conclude Capece. “I numeri riferiti agli eventi critici avvenuti tra le sbarre nel primo semestre del 2018 sono inquietanti: 5.157 atti di autolesionismo, 585 tentati suicidi, 3.545 colluttazioni, 571 ferimenti, 5 tentati omicidi. I decessi per cause naturali sono stati 46 ed i suicidi 24. Le evasioni sono state 2 da istituto, 27 da permessi premio, 7 da lavoro all’esterno, 7 da semilibertà, 17 da licenze concesse a internati. E la cosa grave è che questi numeri si sono concretizzati proprio quando sempre più carceri hanno introdotto la vigilanza dinamica ed il regime penitenziario ‘aperto’, ossia con i detenuti più ore al giorno liberi di girare per le Sezioni detentive con controlli sporadici ed occasionali della Polizia Penitenziaria”. Per il SAPPE “lasciare le celle aperte più di 8 ore al giorno senza far fare nulla ai detenuti – lavorare, studiare, essere impegnati in una qualsiasi attività – è controproducente perché lascia i detenuti nell’apatia: non riconoscerlo vuol dire essere demagoghi ed ipocriti”.